sabato 13 agosto 2022
L’estremo lembo nordorientale della regione è dominato dalla figura di Salvador Dalí e dalla sua casa-museo di Figueres. L’indipendentismo qui si rivela concretamente nel dominio della lingua catalana
Una immagine della casa-museo di Salvador Dalí a Figueres

Una immagine della casa-museo di Salvador Dalí a Figueres - / Raul Gabriel

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Figueres. Il risponditore di un resort biosostenibile disperso tra le cale di Cap de Creus che un tempo, si dice, erano rifugio di pirati meno romantici delle tigri di Mompracem ma probabilmente altrettanto efficaci, restituisce una dimensione diretta e del tutto inaspettata della questione catalana, quando Carles Puigdemont e la sua inconsueta scapigliatura erano marchio di fabbrica della notizia sul pezzo cannibalizzata come di consueto da oceani di scritti polverizzati nel trituratore di una memoria mai considerata seriamente. Il nostro era portabandiera di una annosa istanza di indipendenza, espatriato per qualche tempo in Belgio per non incorrere nelle conseguenze della denuncia che lo vedeva imputato per ribellione, sedizione e altre amenità, come molti capi che lasciano il popolo ad affrontare la lotta di strada a dispetto delle diplomazie, territorio privilegiato di chi opera in guanti bianchi tra colazioni raffinate.

Spiaggia a Cap de Creus

Spiaggia a Cap de Creus - / Raul Gabriel

Ma torniamo ai pirati, o meglio al risponditore. Eravamo quasi sulle cime del Cap de Creus con una macchina fortunatamente attrezzata, dispersi in un territorio ostile, difficoltoso anche per le capre, bellissimo, certamente, ma decisamente impraticabile. Uno degli scherzi che l’intelligenza artificiale di Google si diverte a giocare senza preavviso, inutile escludere le strade sterrate dalle opzioni. La destinazione finale era vicina in linea d’aria, ma per noi era un miraggio, intorbidito dal sopraggiungere dei classici sistemi nuvolosi improvvisi che tormentano aree come quella. Fortunatamente la linea non mancava, per cui chiamo l’ineffabile resort della cala misteriosa per chiedere delucidazioni sul percorso. Risponde una segreteria che recita: un moment si us plau. Non era il confortante un momento por favor. L’effetto straniante di quei suoni per un attimo mi ha fatto pensare di aver intercettato qualche comunicazione in codice dal momento che nell’area si trova anche un distretto militare (invisibile per quanto mi riguarda). Superata la sorpresa ho realizzato che era catalano, siamo in Spagna ma siamo in Catalogna, l’altra dentro l’una come matrioske incongruenti incapsulate a forza da un artigiano testardo. A suo tempo le richieste d’indipendenza mi erano apparse le velleità che emergono di tanto in tanto in alcune comunità degli stati nazionali che per storia e geografia hanno vissuto esperienze differenti. La risposta della segreteria ha ricomposto il puzzle di Puigdemont e queste pietre. Tanta è la potenza della lingua. Diversità profonda, naturale, che non lascia dubbi.

Dopo vari tentativi di chiamata con la segreteria che ripeteva imperterrita il suo mantra rivelatore di tutta la concretezza delle istanze indipendentiste, risponde finalmente la receptionist. Di fatto la destinazione era irraggiungibile in auto dalla nostra posizione, tutta l’area è parco naturale protetto. Siamo dovuti tornare a Roses, una località balneare arrampicata su una delle tante colline aspre come monti, e da lì intraprendere un vero e proprio safari per raggiungere la cala. Gli ultimi sei chilometri di sterrato sono stati una teoria di viste magnifiche, sull’interno e sul mare, del tutto selvatiche e una dura prova per le sospensioni di qualunque macchina non attrezzata per il fuoristrada impegnativo. Superate le avversità arriviamo in questo luogo fuori dal mondo, capisco perché potesse piacere ai corsari, decisamente inaccessibile, altrettanto incredibile. Un intrico di mare, pesci, capre, pecore, lepri, rocce, ratafia, jamon, aperitivi e spiagge decisamente originale.


Interno di una chiesa romanica a Besalú

Interno di una chiesa romanica a Besalú - / Raul Gabriel

Tutto suona come la lingua, stessa durezza, stesso carattere deciso e autonomo. Lì vicino sorge Cadaqués, piccolo centro di pescatori accomodato placidamente dentro una caletta un po’ più grande della nostra, molto vicino a dove ci troviamo se si sceglie il mare per raggiungerlo. Uno dei luoghi cari a Salvador Dalí. Come Figueres, regno incontrastato dell’artista vulcano, non saprei come altro definirlo. Figueres ruota tutto intorno alla esperienza vorticosa ed esuberante del palazzo- celebrazione di Salvador Dalí e Gala, sua mentore e artefice dietro le quinte di buona parte del successo del dandy più rivoluzionario di sempre. Poco prima che la pittura sequestrasse la mia esistenza, Dalí rappresentava per me tutto l’immaginario della pittura di cui non sapevo assolutamente nulla. Mi ero fatto spedire dagli Stati Uniti il suo libro Fifty secrets of magic craftmanship, in cui don Salvador dice tutto sulle sue tecniche senza svelarne alcuna, un gioco di quinte verboso e affascinante dei suoi, che restituisce grande energia, più che segreti su come fare pittura.

Dalí è stato certamente un grande pittore ma non il supremo che avrebbe voluto essere, credo lo sapesse, anche se non lo avrebbe mai ammesso. La sua unicità è una proliferazione ideativa senza limiti, disorientante, del tutto indifferente a qualunque questione cara agli accademici, come coerenza di stile, rigore e così via. Senza nulla togliere alle sue opere, ho trovato che tra quelle esposte i veri capolavori si contassero sulle dita. La collezione privata di don Salvador è un gioiello. I Bouguereau sono di fattura magistrale. Ancora oggi non mi vengono in mente incarnati come i suoi, sospesi tra il reale realistico e l’assoluto etereo, attraversati da una vibrazione luminosa impalpabile che non ha eguali, come se Vermeer si fosse infilato sotto la pelle dei suoi personaggi. Poi El Greco, dal mio punto di vista, e credo anche dal punto di vista del Marquis, un genio senza pari per secoli. Protagonisti della scena sono indubbiamente i suoi apparati; le loro meccaniche sofisticate dissimulano tutto l’artificio di una mente vulcanica che tenta di addomesticare il concetto stesso di capolavoro. Tutto è pervaso da una sensazione di gioia del creare totale, una vita piena, portata al massimo di quello che poteva dare.

Del tutto differente la vicina Besalú. L’interno catalano è come un blocco impenetrabile rispetto alla spugnosità della realtà costiera. La passeggiata è stata breve date le temperature proibitive e la dimensione del luogo. Pure abbiamo avuto tempo di entrare in due piccole esglesie di grande suggestione. Il fascino dell’autentico, del 1100 catalano carico di suggestioni e pericoli, impregnato di una religiosità tragica e generosa che avrebbe portato più avanti anche alle derive nefaste degli auto da fè in Plaza Mayor a Madrid. Non solo naturalmente, l’inquisizione è al vaglio della storia. Rimane la suggestione di una partita giocata senza risparmiarsi, nel bene e nel male, con una visceralità che non si trova da altre parti. Tutto questo si trasferisce nelle pietre, nelle architetture e nelle forme. Trasuda da quei muri come l’umidità tanto agognata in questi luoghi arsi dal fuoco delle temperature e da una energia vitale primordiale che potrebbe ancora oggi insegnarci qualcosa.

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