In quest’anno del giubileo della misericordia, l’intersecarsi del calendario lunare con quello civile porta a una coincidenza inusuale: il venerdì santo cade il 25 marzo, giorno in cui normalmente si celebra l’Annunciazione. Molti pittori, sia occidentali sia orientali, hanno sottolineato nelle loro raffigurazioni o nelle icone della Vergine il legame fra l’incarnazione di Cristo e il mistero pasquale; tuttavia non mancano analoghi esempi nel mondo della musica, talora con rimandi ecumenici inattesi ed affascinanti. La sequenza dello
Stabat Mater, il cui testo è attribuito a Jacopone da Todi (12321306), ha rappresentato per secoli la raffigurazione poetica più efficace e amata della Vergine ai piedi della croce, divenendo così una struggente contemplazione del Crocifisso con gli occhi della Madre. Il testo ha ispirato innumerevoli compositori; una delle versioni giustamente più celebri è quella di Giovanni Battista Pergolesi (17101736): un capolavoro che non ha mai smesso di essere eseguito fin dall’epoca della sua composizione, l’ultima, vertiginosa opera di un musicista scomparso a soli 25 anni e che spesso aveva dimostrato la venerazione per la Vergine con brani a lei dedicati. Lo stile dello
Stabat Mater si ispira a quello operistico, in cui Pergolesi era maestro, e attinge copiosamente a
topoi drammatici e drammaturgici, pur senza cadere nel mero virtuosismo o in una retorica solo esteriore. Al contrario, la spiritualità di questa composizione è intensa, commovente, genuina e profonda; i sentimenti della Vergine, raffigurati nella sequenza latina, vengono resi puntualmente da Pergolesi, che spesso utilizza onomatopee per rafforzare l’impatto emozionale del testo (si veda, per esempio, il momento indimenticabile in cui la musica si fa interrotta e spezzata in riferimento agli ultimi, faticosi respiri del Cristo in croce). L’obiettivo della composizione, che rende in modo quasi fisico le emozioni e le sensazioni di Maria, è chiaramente provocare la compassione degli ascoltatori. Maria soffre con il suo Figlio («com-patisce») e chiunque osservi il suo dolore sarà invitato a condividerne la sofferenza, e di conseguenza a prendere parte a quella redentrice del Cristo. In breve la composizione di Pergolesi iniziò a circolare in tutta Europa, giungendo fin nella Germania luterana. Due secoli prima Lutero (a differenza di quanto molti ritengono) aveva ripetutamente espresso sincera venerazione nei confronti della Vergine, cui aveva dedicato una toccante lettura del
Magnificat. L’ortodossia luterana mantiene il titolo di
Theotokos («Madre di Dio») per la Vergine, e Lutero la invocò come Regina del Cielo, pur senza riconoscerle un ruolo di mediatrice fra gli esseri umani e Dio. Anche nell’anno liturgico luterano feste come l’Annunciazione e la Visitazione permettevano di meditare e annunciare il ruolo della Vergine nel mistero dell’Incarnazione, e brani come il
Magnificat di Bach sono fra le più belle realizzazioni del «Cantico di Maria» in musica. Lo stesso Bach, nella sua qualità di
Cantor alla Thomaskirche, era responsabile per la musica liturgica di Lipsia. Il suo costante interesse per la musica italiana lo fece venire a conoscenza dello
Stabat Mater di Pergolesi, che lo colpì tanto da fargli desiderare di utilizzarlo nel culto luterano. Ovviamente, tuttavia, un testo devozionale medievale dedicato a Maria avrebbe difficilmente trovato una collocazione in tale ambito. Bach perciò ebbe l’idea geniale di trasformare la composizione di Pergolesi in una versione in tedesco del Salmo 51 (50), il
Miserere, che a sua volta è tradizionalmente associato alle celebrazioni penitenziali della Settimana Santa. L’adattamento che Bach opera sulla partitura di Pergolesi è, da un lato, assai rispettoso della qualità artistica e dell’ispirazione dell’italiano; dall’altro, interviene con cura e acutezza nel modificare alcuni dettagli, rendendolo più prossimo al testo del salmo. La scelta di Bach è interessantissima per molti aspetti. La «compassione» (verso Maria, e tramite lei verso il Crocifisso) che Pergolesi desiderava suscitare negli ascoltatori viene convogliata ancor più direttamente verso l’obiettivo che accomunava i due compositori, ossia suscitare contrizione, pentimento e richiesta di perdono – dalla compassione alla conversione. La destinazione liturgica è mantenuta, poiché la contemplazione della Vergine presso la croce, tipica del venerdì santo, è trasformata nella richiesta di perdono altrettanto adatta a tale periodo liturgico. Anche dal punto di vista biblico l’interpretazione di Bach è di notevole profondità e finezza: la composizione del
Miserere da parte del Re Davide è infatti tradizionalmente associata al riconoscimento del suo peccato e alla richiesta di perdono a Dio. Tuttavia il figlioletto nato dal tradimento dovrà morire, e il re non sa darsene pace. Il bambino di Davide soffre e muore, innocente, e il padre assiste impotente alla sua agonia; similmente Cristo soffre e muore, innocente, per i peccati degli esseri umani, mentre la madre osserva, paralizzata dal dolore. Porre quindi in relazione
Stabat Mater e
Miserere è una finissima interpretazione biblica e un momento di profonda spiritualità. Infine, ma non meno importante, l’adozione del modello di Pergolesi per il salmo di Bach costituisce un bellissimo episodio di quell’ecumenismo della pietà, della fede, dell’arte e della preghiera che a volte i musicisti sono riusciti a creare ben prima di molte realtà istituzionali. Al di qua e al di là delle Alpi, cristiani uniti dallo stesso battesimo ma divisi da realtà teologiche, dogmatiche (ma anche storiche e sociali), che confliggevano con la chiamata all’unità invocata da Cristo proprio poco prima della sua Passione, si rivolgevano tuttavia allo stesso Dio con la stessa musica.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Il musicista tedesco, luterano, prese spunto per un «Miserere» dallo «Stabat Mater» del compositore italiano, ma con profondo rispetto dei suoi presupposti sia artistici sia teologici: un esempio di vero dialogo in Cristo alla luce di Maria