In ambito accademico l’agostiniano Giuseppe Caruso si occupa dello pseudo Pelagio e di altri autori noti per lo più agli specialisti, ma non per questo disdegna l’attualità. E così, per spiegare le ragioni del convegno su
Cristianesimo e violenza che ha contribuito a organizzare, suggerisce di dare uno sguardo a quello che sta accadendo in Medio Oriente. «La propaganda di Daesh pretende di fondarsi sul
Corano – ricorda –. Ma anche nell’Antico Testamento le espressioni violente non mancano. I cristiani se ne accorsero subito e subito cercarono di sciogliere la contraddizione che sembrava profilarsi rispetto al messaggio misericordioso dei Vangeli».
E ci riuscirono? «Oggi si tende a dimenticarlo, ma le comunità dei primi secoli si interrogarono seriamente sull’opportunità di recepire la Bibbia ebraica. Ancora nel II secolo l’eretico Marcione sosteneva che l’Antico Testamento andasse totalmente respinto, in quanto ormai superato dal Nuovo. L’atteggiamento prevalente fu però un altro, come sappiamo. La Grande Chiesa accolse la Scrittura nella sua interezza, sottoponendo gli elementi più controversi a una lettura di tipo spirituale. La strage dei nemici invocata a più riprese nell’Esodo e negli stessi
Salmi viene intesa, per esempio, come un invito a sbarazzarsi dei peccati. È un processo complesso, che non manca di lasciare tracce».
A che cosa si riferisce? «In particolare all’ambito iconografico. Nell’arte paleocri- stiana è del tutto assente la rappresentazione degli episodi più violenti riferiti dal racconto veterotestamentario. Con un’unica eccezione, a sua volta significativa ».
Quale? «Il sacrificio di Isacco, che si presta immediatamente a una lettura in chiave spirituale. Qui, inoltre, la violenza è soltanto paventata, non messa in atto. L’orizzonte della misericordia, fondamentale per gli autori cristiani, viene dunque confermato dallo svolgimento della vicenda ».
Eppure sul piano storico gli episodi di intolleranza da parte dei cristiani non sono mancati... «Sì, ma la strage degli ebrei di Callinico nel 388 o l’uccisione di Ipazia di Alessandria nel 415 trovano spiegazione nel fanatismo di una minoranza e non possono in alcun modo essere ricondotte allo spirito del Vangelo. I cristiani, tutt’al più, arrivano a riconoscere che a Dio e a Dio soltanto spetta l’eventuale ricorso alla violenza. Questa, però, non può mai essere esercitata dall’uomo ».
Anche al cospetto della persecuzione? «Nel
De mortibus persecutorum Lattanzio cerca di stabilire il principio della punizione divina riservata agli imperatori che si sono comportati in modo malvagio verso i cristiani, ma sarà lo stesso Agostino, nel
De civitate Dei, a smentirlo, mostrando l’inconsistenza di una simile correlazione. Perfino per Lattanzio, però, non è l’uomo a vendicarsi direttamente. Nessuno, tra i padri della Chiesa, ha mai giustificato il ricorso alla violenza in nome del Vangelo».
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