La rappresentazione di un lampo di raggi gamma nello spazio profondo - Istituto nazionale di Astrofisica
Un “quanto di luce” - proveniente dallo spazio profondo e raccolto lo scorso 9 ottobre da un sistema avanzato di rilevatori terrestri – aveva indotto gli studiosi a sospettarne un’origine non naturale ma aliena, visto che in teoria non avrebbe mai dovuto raggiungere la Terra. Poi, dopo una più attenta analisi, l’idea è che questo fotone ad altissima energia (emesso con il più potente lampo di raggi gamma mai osservato prima) potrebbe contenere indizi sulla misteriosa materia oscura dell’universo.
L'ipotesi, la più accreditata al momento, è del gruppo italiano composto dall'Istituto nazionale di Astrofisica e dall'Istituto nazionale di Fisica Nucleare, che nelle scorse settimane a riguardo ha pubblicato un articolo su Physical Review Letters. Secondo le teorie correnti, quella particella di luce (fotone) non avrebbe mai dovuto arrivare sulla Terra in modo naturale e per spiegarne il fenomeno i ricercatori italiani, appunto, propongono un'interpretazione secondo cui quel fotone si sarebbe trasformato in un'ipotetica particella chiamata Alp (axion-like particle), prevista dalla teoria delle stringhe (un quadro teorico molto complesso e pensato da alcuni fisici dove le particelle multiformi, rappresentate da un quadrivettore spazio temporale, sono sostituite da oggetti uno-dimensionali chiamati stringhe caratterizzati da determinati diversi stati energetici vibrazionali). Insomma, un solo fotone potrebbe così mettere in crisi gli attuali modelli astrofisici sulla propagazione dei raggi gamma. L'evento nel quale è stato osservato è stato chiamato Boat (acronimo di "brightest of all time", ovvero il più luminoso di tutti i tempi) ed è il lampo di raggi gamma GRB 221009A, emesso da una galassia distante oltre due miliardi di anni luce. Tra i fotoni che l'hanno accompagnato, osservato dal rivelatore cinese Lhaaso, uno aveva un'energia di 18 TeV, la più alta mai registrata da un lampo di raggi gamma.
"Pochi minuti dopo aver avuto notizia dell'esplosione, abbiamo intuito che questo lampo di raggi gamma non solo poteva essere un evento astrofisico straordinario, ma poteva anche rappresentare un'opportunità unica per studi di fisica fondamentale, in particolare riguardo alle axion-like particles", spiega il primo autore dell'articolo, Giorgio Galanti dell'Inaf. Gli altri autori sono Lara Nava, Marco Roncadelli, Fabrizio Tavecchio e Giacomo Bonnoli. Secondo l'ipotesi avanzata dal gruppo di ricerca, il fotone potrebbe essere un "trasformista", ossia una particella capace di cambiare natura, oscillando da una "personalità" all'altra mentre viaggia alla velocità della luce. Fra queste personalità alternative potrebbero esserci le Alp oppure gli assioni, entrambe candidate per costituire la materia oscura fredda e capaci di fare cose che un fotone non sarebbe in grado di fare, come attraversare indenne la luce di fondo extragalattica (Ebl, ossia la luce emessa da tutte le stelle durante l'evoluzione dell'universo). Infatti, quando un fotone ad alta energia urta un fotone dell'Ebl è probabile che si formi una coppia elettrone-positrone che fa scomparire il fotone di alta energia. Questo effetto diventa progressivamente più importante al crescere dell'energia e della distanza, di conseguenza nessun fotone legato al lampo di raggi gamma del 9 ottobre avrebbe potuto raggiungere la Terra. Ma non è stato così. "Secondo la nostra ipotesi, in presenza di campi magnetici, i fotoni si tramutano in Alp e viceversa, rendendo così possibile raggiungere la Terra a un maggior numero di fotoni, perché le Alp sono invisibili ai fotoni del fondo extragalattico", osserva Marco Roncadelli, ricercatore associato di Infn e Inaf. Per dare solidità a questa ipotesi serviranno ora altre osservazioni e saranno per questo di grande aiuto i nuovi osservatori astrofisici per alte energie, come il Cta e l'italiano Astri, in arrivo nei prossimi anni.