Da una parte, nel sottobosco di una società in pieno mutamento ma talora già pure in superficie, un ritorno alla fede, o almeno alla ricerca spirituale. Dall’altra, le vecchie e caparbie pretese laiciste di limitare la visibilità del fatto religioso. Da tempo, la Francia vive una sorta di paradosso, rilevato in particolare da quegli studiosi e pensatori che per primi, fra gli anni Ottanta e Novanta, si erano sbarazzati definitivamente delle vecchie zavorre ideologiche novecentesche. Fra questi, Luc Ferry, filosofo con un passato anche da ministro dell’Istruzione, personalmente «alla ricerca di una spiritualità laica» e pronto ad ammettere che nel Paese prende corpo una nuova partita attorno al sacro. Non è un caso che sia stato proprio lui ad accettare, nel quadro del recente giubileo della basilica di Santa Clotilde a Parigi, un dialogo aperto sul cristianesimo in Francia con il cardinale Philippe Barbarin, l’arcivescovo di Lione noto anche per le sue decise prese di posizione nel dibattito pubblico. Lo scambio è stato in seguito pubblicato da Salvator con il titolo
Quel devenir pour le christianisme? ed ha finito per imporsi nelle librerie con una progressione costante, soprattutto negli ultimi mesi. Divenendo esso stesso una spia di quella ricerca spirituale montante al centro del confronto. Per Ferry, il sussulto in corso ha per il momento uno spessore «più qualitativo che quantitativo» ed offre forse un nuovo volto dell’umanesimo: «Nessuno dei giovani che conosco sarebbe disposto a morire per la patria, per la rivoluzione o per Dio. In compenso, accetterebbero forse di offrire la loro vita o almeno di prendere dei rischi per altri esseri, in una logica umanitaria. È ciò che mi pare nuovo». Il cardinale, primate delle Gallie nell’antico e glorioso solco di sant’Ireneo, percepisce anch’egli mutamenti profondi: «In occasione dei miei incontri pastorali, mi accorgo che molte persone, oggi, possiedono uno spirito aperto. Dato che tutti i problemi sono emersi a galla, vi è effettivamente molta decostruzione e spesso manca uno sforzo di coerenza. Ma quando discuto con dei giovani, constato innanzitutto che di fronte alle tante aggressioni della società, portano in essi il senso della dignità umana e quello di Dio. Sono sorpreso dalle loro reazioni e osservo che hanno prodotto, per così dire, degli "anticorpi"». Le tentazioni del consumismo sfrenato, concordano i dialoganti, trovano oggi nuove e molteplici forme di resistenza. Ma questi tentativi di fuga da un materialismo totalizzante stanno già incontrando Cristo? Qui, le riflessioni seguono inizialmente binari paralleli, dato che per Ferry l’esperienza del sacro non implica necessariamente la fede e la ricerca della trascendenza. Il cardinale Barbarin, anche sul filo personale dei ricordi missionari in Africa, ricorda invece che una visione non incarnata del cristianesimo è inconcepibile: l’umanità è compresa dai cristiani in modo "integrale", ovvero come corpo, psiche e spirito. E quest’originalità, sostiene il presule, continua ad essere percepita da chi è in ricerca. Poi, in modo quasi imprevisto, le due argomentazioni trovano una profonda sintonia su un punto cruciale: esiste nelle giovani generazioni una sete profonda d’amore ed è innegabile che l’amore, così come è stato finora trasmesso ed è ancora inteso almeno in Occidente, resta figlio del cristianesimo. «Sulla trasmissione, condivido in pieno le idee che il cardinale esprime. Aggiungerò semplicemente, a ragion veduta, che un’educazione riuscita è fondamentalmente, per noi europei, cristiana, ebraica e greca», osserva il filosofo, esplicitando così il suo pensiero: «L’elemento cristiano, l’amore, accanto all’elemento ebraico, la legge, e a quello greco, le opere. È qui che si gioca la grande questione della trasmissione, non nello spirito critico». Il quale, per Ferry, sarebbe ormai un dato consolidato in Europa. Barbarin giunge a una conclusione ancor più proiettata verso il futuro: «Confesserò la mia grande speranza; è del resto una delle preghiere che rivolgo più spesso al Signore: non che la Francia dia, come in passato, dei missionari per evangelizzare oggi l’India, la Cina e tutte le contrade del mondo che si aprono al messaggio del Vangelo, ma che nascano congregazioni religiose di educatori ed educatrici che si consacrino interamente a Gesù, il Pedagogo, al servizio della generazione che cresce. Poiché vi è molto da dare per costruire i giovani: è una missione fondamentale ed esigente». Se dunque il filosofo agnostico giunge ad individuare nell’amore di tradizione cristiana il primo "antidoto autentico" alle derive sociali, seguito dal senso della legge e dall’immersione intima nelle grandi opere dello spirito umano, il cardinale esprime una visione in parte consonante, ma traducendola innanzitutto in termini d’azione non solo pastorale: «Occorre lavorare e il solo modo di lavorare davvero consiste nell’amare, cioè nel darsi completamente». Proprio seguendo la strada di Colui che ha detto: «Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi».