martedì 28 giugno 2022
Al Taormina Film Festival, incontro molto toccante con il regista americano di origini lucane che 50 anni dopo è tornato nei luoghi dove ha girato il suo primo capolavoro
Il regista americano Francis Ford Coppola, 83 anni al Film Festival di Taormina

Il regista americano Francis Ford Coppola, 83 anni al Film Festival di Taormina

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«Il Padrino è tornato!», dicono emozionati Giovanni e Vincenza, due ex giovani di Savoca (Messina), il paese dove 50 anni fa l’allora giovane regista Francis Ford Coppola convinse la Paramount a girare il suo capolavoro in Sicilia, la terra di Don Vito Corleone (Marlon Brando). Giovanni e Vincenza sono due delle comparse de Il padrino - Parte I, arrivati al Teatro Antico di Taormina assieme al sindaco di Savoca, l’architetto Massimo Stracuzzi, per consegnare le chiavi della città al «Maestro Coppola» e dirgli «grazie per aver reso popolare nel mondo il nostro piccolo paese con il suo grande film». Coppola sale sul palco per quella che dovrebbe essere una comparsata, e invece da istrione qual è fa un autentico “68”, come gli anni di vita di questo Taormina Film Festival, ben confezionato dai tre direttori artistici Federico Pontiggia, Alessandra De Luca e Francesco Alò.

Amarcord de "Il Padrino Parte Prima" 50 anni dopo

È un amarcord in piena regola, emozionante, quello del figlio di paisà, origini lucane di Bernalda (Matera) – dove lo stanno aspettando dopo il lungo intervallo imposto dal Covid – che se ne frega del «stringi, stringi» (mastica in slang italico), imposti da agenti e tempi televisivi da rispettare. Il re per una notte è lui, il cineasta che quando nel ’72, a 29 anni, girò quel film non era «nessuno» e dopo quel «miracolo», 33enne aveva già messo nella bacheca di casa 5 dei sei premi Oscar ottenuti in carriera con altri capolavori come Il padrino Parte II, The conversation e Apocalypse now. Lesson number one: «Un buon film è come combattere una guerra, un grande film è un miracolo», dice Coppola con i suoi occhi vispi e rapaci a ghermire l’attenzione di una platea antica rimasta in religioso silenzio ad ascoltare questo Aristofane hollywoodiano che si tuffa generoso nel mare dei ricordi di mezzo secolo fa. «Io devo ringraziare Taormina, Savoca e i siciliani tutti che quando arrivai mi accolsero semplicemente come il padre di due bambini piccoli. Ed era per loro, Roman e Giancarlo (morto giovane in un incidente, il suo più gran- de dolore, ndr), che stavo girando quel film, per guadagnare il necessario per mandare avanti una famiglia che non aveva più soldi. E con mia moglie stavamo aspettando il terzo figlio, Sofia». La data di nascita di Sofia Coppola, regista quanto mai figlia d’arte, è quel 1972 sancito anche dal suo battesimo sul grande schermo: «Sofia non potrà mai nascondere la sua età, perché ne Il Padrino viene battezzata, però come un maschietto », sorride Coppola che rimarca le mille difficoltà realizzative che lo avevano stremato. «Il film lo avevano rifiutato tutti i registi contattati dalla Paramount.

Tutti rifiutavano di girare quel film

Nessuno voleva farlo e quindi la scelta alla fine toccò su un americano figlio di italiani, per di più in bolletta e con una famiglia da sfamare, come il sottoscritto, in modo che se la mafia si fosse arrabbiata per come l’avremmo raccontata, beh se la sarebbero presa direttamente con me». Il film più bistrattato della Paramount invece è diventato una pietra miliare del cinema, anche perché lo sceneggiatore Coppola, suo primo vero mestiere (nel 1970 aveva vinto l’Oscar come sceneggiatore di Patton, generale d’acciaio regia di Franklin J. Schaffner) si era potuto avvalere della preziosa collaborazione dell’autore del romanzo (a sorpresa anch’esso diventato best seller: 67 settimane in vetta alla classifica dei libri più venduti): The godfather, scritto dall’altro figlio di paisà, origini irpine di Pietradefusi, Mario Puzo (1920-1999). Unico nome non citato, ingiustamente (perdoniamo il Maestro per la dimenticanza) di questa notte sotto le stelle di Taormina. Ma Coppola tiene Puzo nel cuore, anche per affinità elettive che fanno parte della sua autobiografia più intima: «Eravamo due padri al verde che scrissero quel film nel salotto di casa mia, tra il rumore dei bambini, pranzando per giorni solo con pasta al pomodoro e vino rosso», ha raccontato spesso. Alla fine di quel lavoro ostinato andando costantemente in direzione contraria alle ferree leggi della produzione degli studios, il risultato fu l’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale. Un film perfino preveggente, che anticipava di almeno un decennio la nascita del vero clan dei corleonesi in Sicilia. Ma non è questa la ragione del trionfo epocale, che fa prendere una sedia al Maestro per sedersi a spiegare al pubblico la genesi della sua «creatura». Il primo figlio «masculo» della saga come direbbe il nerboruto attendente di don Vito Corleone, Luca Brasi.

Lectio amicale del maestro Francis

Una mezz’ora di “omelia” di celluloide coppoliana, affettuosa, a cuore aperto che per intensità emotiva e spirito d’artista ha ricordato quella lectio improvvisata di Eduardo De Filippo al Teatro Antico, estate 1984. Un one man show per ringraziare il vero artefice del «miracolo», il pubblico sovrano. «Quando il film uscì avevo accettato subito di lavorare alla sceneggiatura del Grande Gatsby. Un altro problema per me, non c’erano i dialoghi per Robert Redfort e Mia Farrow: muti, quei dialoghi me li sono dovuti inventare. Ma non potevo rifiutare, temevo che il flop del Padrinoavrebbe aggravato la mia già difficile condizione economica... Invece mia moglie mi telefona entusiasta da New York per dirmi che c’era la fila nel cinema vicino a casa nostra e che il film sarebbe stato proiettato in altre 5-6 sale della città tanto era piaciuto al pubblico. E allora in quel momento ho capito che avevamo fatto una cosa grande e che la gente era pronta per vedere ed ascoltare una storia come quella di don Vito Corleone». Quel film dark, che ci voleva la luce e il sole della Sicilia per illuminarlo («luce che i primi giorni qui non c’era e per consolarmi mangiavo quintali di granite al limone offerte dal Bar Vitelli di Savoca »), stava miracolosamente viaggiando da solo con le sue gambe entrando in tutte le sale del mondo. Un viaggio che non si è mai interrotto, perché la versione restaurata da ieri è tornata nei cinema italiani per celebrare al meglio queste nozze d’oro tra Coppola e la creatura, che per il suo padre-Padrino non ha segreti. «Come mi spiego il segreto di un successo così duraturo? Basta vedere il cast. A cominciare da Marlon Brando che per me è stato il più grande attore di tutti i tempi. O vogliamo parlare di Robert Duvall o del giovane Al Pacino? Vi svelo un segreto, nella scena del matrimonio io gli dico: Al ora devi fare un discorso e cantare. E lui: “Francis ma io non so una parola d’italiano”. Beh, allora balla: “Francis, ma io non so danzare”. Vai fuori e guida la macchina. “Francis, io non so guidare l’auto”». Il Teatro Antico esplode in una risata per la mimica coppoliana... Morale, Al Pacino in quella scena se la cava togliendo il freno a mano all’auto.

Un cast leggendario e la musica di Nino Rota

Insomma il segreto è nel talento, umile e immenso come quello di Coppola e nel fatto che «tutti quelli che hanno partecipato a questo film sono diventati delle leggende nel loro mestiere». A cominciare dall’imprescindibile Nino Rota – omaggiato sul palco dall’Orchestra al plettro di Taormina, con la voce di Caballà – e dal ricordo fraterno di Coppola che, per un istante, cede alla commozione. «Vengo da un famiglia di musicisti: mio padre Carmine, era il primo flauto dell’Orchestra di Arturo Toscanini, perciò ho capito subito di che razza fosse Nino Rota: la colonna sonora di Rocco e i suoi fratelli mi aveva stregato. Un capolavoro. E io per Il Padrino gli ho chiesto una musica del genere, potente. La prima prova non mi convinse e gli dissi: Nino, non così. Voglio una musica più atonale, più “africana”. E lui dopo due giorni arriva e mi fa sentire quell’attacco 'tarirarararararararara’ (canta e con lui tutto il pubblico in coro). Quella musica di Nino, ti entra dentro, ti fa vivere, respirare, fa sognare ancora tutti noi». Senza quella musica forse non esisterebbe questo film, né la grande idea di «cinema dei sentimenti» di Coppola che ora sogna un ultimo atto. L’utopia concreta di un «film totale», di cui da anni si conosce solo il titolo, Megalopolis. Un kolossal da 120 milioni di dollari, sulla natura umana e sull’amore. Un grande pezzo di sé, come del resto nel tempo è diventato anche Il Padrino che per Coppola è un atto di «successione. Oggi dopo 50 anni lo consegno ai giovani, nella speranza che anche loro riescano a realizzare i propri sogni e a fare del cinema anche migliore di quello che io sono riuscito a realizzare». Lunga vita all’83enne Padrino del cinema.

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