Andrea Loreni non ha nulla della dolcezza efebica e stereotipata del funambolo. Non sembra uscito da un film di Charlie Chaplin, né da un dipinto di Marc Chagall. Sembra piuttosto Max Von Sydow nei panni del malvagio Ming nel film Flash Gordon: sguardo istrionico, pizzetto alla Gengis Khan, testa pelata. Ma, si sa, l’abito non fa il monaco e, quindi, nemmeno il funambolo. Poi, quando lo si sente parlare, la voce è quella di un bambino con un leggero accento piemontese (a Torino Andrea è nato 36 anni fa). Una voce rimasta innocente, pura, tonificata dall’aria limpida delle altezze che è abituato a sfidare. E la sfida di sabato prossimo a Pennabilli è di quelle che resteranno nella storia del funambolismo. Perché proprio nel pittoresco paesino del Montefeltro Andrea ha deciso di provare una traversata memorabi-le: l’impresa di percorrere su una fune sospesa a 90 metri d’altezza i 250 metri (record italiano) che separano i colli di Penna e di Billi. Una traversata al cardiopalma. Esibitosi già in Piazza Maggiore a Bologna, in Piazza della Signoria a Firenze, sulla Mole Antonelliana di Torino, a Mestre per il Carnevale e ancora a Torino per festeggiare l’Unità d’Italia, Loreni sarà a Pennabilli per tentare un nuovo record. Una passione, quella del funambolismo, sviluppatasi in «tarda» età, dopo la laurea in filosofia, quando Andrea si dedica al teatro di strada e inizia ad allenarsi sul filo teso, un attrezzo che lo porterà a scoprire il fascino dell’equilibrio come ricerca. Questo stile di vita insolito lo spinge fino a costruirsi una casa su un albero: suo rifugio e dimora durante i periodi di allenamento. «Il padre della mia fidanzata ai tempi dell’università mi disse: 'Nella vita non si può fare sempre quello che si vuole'. Ecco, questa è stata la mia prima sfida: fare veramente quello che volevo. Dimostrare agli altri e a me stesso che potevo vivere camminando sulla corda. Un mestiere affascinante».
Perché ha scelto questo strano mestiere?«Non lo so. Camminare lassù mi fa paura, perché lo faccio? Non ho trovato risposte e spesso bastano le domande. Comunque ho trovato molti significati, simboli, richiami in questo camminare sottile, quello che ora prediligo. Metto in relazione la paura di camminare con quella di vivere. Camminare lassù da solo mi fa paura, anche vivere mi fa paura, eppure continuo a fare entrambe le cose».
Si ispira a qualche funambolo in particolare, come il celebre Philippe Petit?«Sicuramente Petit è un grande. Il suo libro Trattato di funambolismo è stato importante per me, soprattutto per gli aspetti tecnici del mestiere. Ma io non mi ispiro a nessuno in particolare. Mi affascina invece il funambolo come figura archetipica e mitica, un essere frutto dell’immaginazione».
Cosa significa per lei stare sospeso a decine di metri in aria e vincere la forza di gravità? «Innanzitutto solitudine e terrore. Massima concentrazione. Si crea un vuoto intorno a me. Non vedo il pubblico, non sento nulla. L’emozione, la gioia sbocciano solo alla fine, quando sei arrivato dall’altra parte. Quando la 'traversata' è finita. Direi però che il mestiere del funambolo è fatto soprattutto di solitudine. È la solitudine il sentimento che mi avvolge quando so- no lassù nel cielo».
In questo stare lassù e «toccare il cielo con un dito», sente qualcosa di trascendente?«Sì, sicuramente c’è un aspetto trascendente, spirituale. Quando sei sospeso sul filo non sei sulla terra e questo può sembrare ovvio, ma nel senso che sei 'da un’altra parte', in un’altra dimensione: intima e spirituale. Quello che invece non condivido dell’essere funambolo è il fascino dell’estremo, di voler superare a tutti i costi il limite. Questo gusto un po’ compulsivo per il record. Il funambolismo non è uno sport estremo. Non è fatto per teste matte. Bisogna al contrario avere un grande senso del limite e soprattutto – come dicevo – paura. Quando non si ha più paura è proprio il momento in cui si sbaglia. E l’errore può essere fatale».
Perché vuol tentare il record italiano di traversata su fune proprio a Pennabilli?«Due anni fa Enrico Partisani, il direttore artistico del Festival 'Artisti in Piazza' a Pennabilli, mi parlò di una sua idea: unire i colli di Penna e di Billi, tra i quali sorge l’omonimo paese, con una traversata. È una sfida nuova per me, e pur presentando diverse incognite e difficoltà, l’ho accolta con entusiasmo. Dopo anni di pratica sono aumentati i metri che mi dividono dal suolo e il vuoto sotto di me è diventato familiare; ma, nonostante la dimestichezza, la concentrazione dev’essere costante. L’impresa (prevista per le 17 di sabato; in caso di condizioni atmosferiche sfavorevoli verrà posticipata al giorno seguente alle 14) inoltre presenta non poche difficoltà anche in fase di preparazione. L’allestimento è stato lungo e complesso. Una ditta specializzata mi ha fornito uno speciale cavo di acciaio del diametro di 14 millimetri che dev’essere teso tra due paranchi per oltre 250 metri. Altri tensori servono per bilanciare le oscillazioni del cavo principale sul quale camminerò. Se si pensa che uno spostamento iniziale di 1 centimetro può provocare un abbassamento di oltre 1 metro al centro del cavo, i rischi ci sono…».
È dura vivere in Italia facendo il funambolo?«Sì, certo. A me è andata bene. Diciamo che ero al posto giusto al momento giusto ed ora, grazie anche alla notorietà conseguita, ho parecchie offerte di lavoro. Ma oggi è aumentata anche la concorrenza».