Martin Buber (1878-1965) - Alinari
Come riconosce Irene Kajon presentando questa monografia di Angelo Tumminelli ( Martin Buber a Firenze, Studium, pagine 224, euro 22,50), sono almeno due i temi poco noti che l’autore approfondisce in queste pagine grazie a documenti inediti rintracciati negli archivi della National Library of Israel a Gerusalemme. Il primo tocca il periodo del soggiorno fiorentino di Buber nel 1905 e 1906, dopo essere arrivato in Italia fresco di dottorato a Vienna con una dissertazione dedicata a Niccolò Cusano e Jakob Böhme. Il secondo indaga il coinvolgimento di Buber nei Colloqui Mediterranei per la pace organizzati fra il 1958 e il 1962 dall’allora sindaco di Firenze Giorgio La Pira (Buber partecipò al secondo, nell’ottobre 1960, e mandò un messaggio al terzo), ma pure in altre iniziative dagli stessi intenti (si veda la lettera inedita in questa pagina con l’invito del sindaco a Buber per avere la sua presenza alla celebrazione fiorentina di un anniversario di fondazione dell’Onu). Il primo tema, dunque, riguarda il rapporto con Firenze, agli occhi di Buber città dell’intreccio tra sapienza razionale e ispirazione religiosa, luogo di raccoglimento al quale si sentiva legato già prima dell’arrivo in Toscana, sin da quando – assistendo a Berlino alle lezioni di Wilhelm Dilthey – si sentiva affascinato dalle città rinascimentali italiane. Il secondo riflette sulla relazione tra il filosofo-teologo austriaco naturalizzato israeliano e il giurista-politico, padre costituente e parlamentare, approdato dalla Sicilia a Firenze dove, vestito l’abito di terziario domenicano in San Marco già nel 1927, si guadagnò fama di santità come primo cittadino per quasi due decenni, già alla fine degli Anni 50, provando a conciliare bisogni dei cittadini e principi cristiani, nonché perseguendo la pace con i già citati “Colloqui”.
Giorgio La Pira - .
Forse però a emergere soprattutto dal libro sono il Buber giovane e quello anziano, colti appunto nel capoluogo toscano. Due tappe di un’avventura umana, ma anche intellettuale. E un pensiero che muta, si evolve, sino a tradurre in impegno concreto le idee di tensione unitiva e di concezione della realtà come relazione. I primi anni fiorentini infatti sono quelli in cui il giovane Martin pone l’analogia tra il contesto ebraico a lui contemporaneo e la fioritura del ’400, reinterpretando la tradizione mistica ebraica del Chassidismo alla luce del vitalismo e del pantesimo italiani rinascimentali , accostandosi al testamento spirituale del Baalschem e ai testi dello zaddik Nachman di Bratislava (due maestri lì a indicare che «la salvezza dell’uomo non consiste nel tenersi lontani dal mondo, bensì nel santificarlo, nel consacrarlo al senso divino»). Se poi l’ebraismo del giovane Martin passa di fatto attraverso il filtro della cultura europea di ascendenza grecocristiana, è pur sempre tale da costituire la base per una nuova riflessione sulle espressioni della vita ebraica secondo le esigenze maturate con la crisi dell’approccio razionalistico e liberale dell’’800. Mentre il Buber più in là negli anni, invece, abbandonati i presupposti metafisici della filosofia dell’unità, acquisita una sua originale impronta personalistica, affinando una sua filosofia del dialogo, dopo essersi concentrato sul ruolo della relazione come tratto dialogico e costitutivo dell’essere umano, capace di inverarsi in ogni situazione sociale e politica.
Ed è in questo quadro che Buber non teme di delineare la più ampia prospettiva di pacificazione auspicando da parte della popolazione ebraica entro lo Stato d’Israele un’apertura alla pace pronta a riconoscere come interlocutori non solo gli arabi palestinesi, ma pure quelli degli altri Paesi mediorientali: una pace, allora, non solo come assenza di guerre o di violenze, bensì come cooperazione effettiva e multilaterale, su diversi piani: economico, culturale, sociale, ecc), affrontando tutta la questione non solo come fatto politico ma anzitutto morale. Da qui, dopo la costituzione dello Stato di Israele, le richieste di aiuto per i rifugiati arabi, le proteste contro l’espropriazione dei palestinesi dalle loro terre, l’idea di una confederazione tra Stato di Israele e Nazioni arabe. E da qui pure il raffronto che Tumminelli fa nella sua ricostruzione storica, che però è soprattutto ermeneutica dell’evoluzione del pensiero, esaminando la posizione buberiana rispetto quella lapiriana circa la pace nel Mediterraneo, gli appelli che ne indirizzarono lo svolgimento, gli sbocchi del confronto politico, l’insistenza sulla religione e la cultura come strumenti di dialogo. Una prospettiva forse utopica ma tale, secondo Buber, da indicare una direzione alla prassi politica e all’agire quotidiano, in sintonia con l’utopia di La Pira. Sullo sfondo mutamenti anche di scenari internazionali non indifferenti; in primo piano Firenze, modello di città convinta a investire su relazioni autentiche, condizione necessaria dello scambio, della mediazione, della progettualità, oltre ogni perimetro e confine.