lunedì 18 novembre 2013
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La fotografia arriva presto a Napoli, e i napoletani sono affascinati. Come in altre grandi città europee, subito si diffonde e diventa popolare. È portata dagli ultimi viaggiatori del Grand Tour di cui Napoli è stata sempre una delle tappe principali. Nel 1846 Calvert Richard Jones, dall'Hotel Des Etrangers di Santa Lucia scatta fotografie con la tecnica del calotipo inventata dal cugino Fox Talbot. Nel 1864 parte la prima campagna dei Fratelli Alinari a Napoli, con il compito di fotografare le opere del Museo Archeologico Nazionale. Nel 1871 in città operano 33 studi fotografici, che diventano 40 nel 1874, e quasi cento negli anni '80 dell'Ottocento con un totale di 189 dipendenti. Si chiamano Ferretti, Arena, Grillet, Sommer, Gairoard, Mauri, il "fotografo dei re", che assicurano perizia e professionalità. A questi vanno aggiunti i dilettanti che non operano a scopo di lucro, e tra loro va annoverato senza dubbio Michele Comella. Il nome di questo artista, che ha fatto parte dell'ultima Scuola di Posillipo, è poco noto, nonostante in vita sia stato apprezzato come pittore. Tanto che Enrico Giannelli, anch'egli artista che con Giacinto Gigante si prefisse di promuovere un rinnovamento della pittura paesaggistica napoletana, lo annovera tra altri 243 pittori nel suo importante dizionario Artisti napoletani viventi, ancora fondamentale per conoscere quel vivace periodo artistico napoletano. Michele Comella nacque nel 1856 a Casaluce, nell'Agro aversano, da famiglia agiata. Si diplomò all'Istituto delle Belle Arti di Napoli e presto fu accolto come pittore in importanti esposizioni: a Genova nel 1889, a Palermo nel 1891 e soprattutto in quelle della Società Promotrice Salvatore Rosa di Napoli, una specie di Salon partenopeo dove esponevano periodicamente artisti consacrati della Scuola di Posillipo e i Macchiaioli. Comella morì nel 1926 nel paese natio che gli aveva ispirato i suoi paesaggi campestri. Comanducci nel famoso Dizionario illustrato dei pittori, disegnatori e incisori moderni e contemporanei gli dedica nel tempo quattro schede, accreditandolo anche come fotografo. È un pittore che, come altri artisti della sua epoca, utilizzò la fotografia per fini pittorici. Lo fa Edgar Degas in Francia, lo fa Francesco Paolo Michetti in Italia. L'intento pittorico è evidente nelle foto di Comella, che pubblichiamo per la prima volta a distanza di oltre cento anni dalla loro realizzazione. Per queste foto, eseguite a cavallo tra Ottocento e Novecento, Comella (anche per l'agiatezza economica) non prendeva alcun compenso; in questo senso è un dilettante. All'epoca si pose subito la distinzione tra professionisti e dilettanti, e la bilancia, contrariamente a quanto si possa immaginare, pendeva a favore di questi ultimi in termini di qualità. Scriveva Luigi Gioppi nel Bullettino della Società fotografica italiana del 1894: «Il professionista non ha né voglia né tempo né mezzi per studiare e limita il suo lavoro o al mero commercio quattrinaio o all'imitazione dei concorrenti più in auge o al gusto spesso discutibile del pubblico. Il dilettante, invece, è libero del suo tempo, è fornito di un corredo di studi superiori e, il denaro non facendogli difetto, ha il mezzo di scegliere, come l'ape sui fiori, il meglio di ciò che vede». Nel ritratto che Gioppi fa di questo dilettante colto, facoltoso, evoluto e appassionato pare di vedervi Comella. Si può dire delle sue foto quanto Beaumont Newhall scrive dei dilettanti proposti nel 1893 alla Kunsthalle di Amburgo (evento che fece scalpore) da Alfred Lichtwark: «Non vi figuravano i pomposi ritratti fatti in studio da professionisti, con i loro fondi dipinti, le colonne false, i mobili di imitazione». Michele Comella, infatti, non utilizza un set per mostrare la condizione sociale vera o presunta della persona ritratta. Si concentra soltanto sul soggetto che guarda quasi sempre in macchina per fermare sulla lastra la somiglianza intima, come l'intese Nadar, pur non avendo, a differenza del celebre francese, tra il suo pubblico scrittori o poeti, scultori o musicisti e donne celebri. Davanti all'obiettivo mette in posa la media e l'alta borghesia rurale, ma anche contadini, i poveri del paesino dove vive, domestici che probabilmente sono a servizio in casa Comella. Li fotografa tutti donando a ciascuno un'identica dignità. I suoi poveri non sono letti in chiave antropologica né con commiserazione. Pare di leggere nei loro volti il profondo rispetto provato dal fotografo Comella che li ha voluti ritrarre. I soggetti, per primi, avvertono questa premura. Per nulla spaventati, guardano fisso nell'obiettivo quasi a sfidare il fotografo e poi l'osservatore. Sono tutti fieri e orgogliosi nei loro panni umili e dignitosi. Atutti questi volti si può adattare quanto Alfred Döblin scriveva in un breve ma acuto saggio per la prima edizione dell'opera di August Sander pubblicata nel 1929. L'autore di Berlin Alexanderplatz scorgeva nelle foto di Sander un doppio livellamento: quello «che accomuna i volti umani nella morte» – e questo vale per tutti noi che guardiamo le foto di chi non è più –, e il «livellamento esercitato dalla società e dalla classe a cui gli individui appartengono». Nessuno, però, ostenta quello che è. C'è piuttosto consapevolezza del proprio status: i ricchi non si compiacciono e i poveri non vogliono impietosire. Le sue inquadrature sono composte. Il tempo di posa lungo (più di un trentesimo di secondo) non gli consente di eseguire istantanee. Michele Comella realizza "false istantanee": costruisce la foto pensando già come sarà la scena riportata sulla tela. «Ferma così!», pare sentire che dica alla donna ripresa nell'atto di sfilarsi il corsetto, perché per sicurezza, subito dopo, effettua un secondo scatto. Ed ha una evidente finalità pittorica la foto di una donna orante, ripresa nel corridoio di casa mentre due ragazzini guardano incuriositi sporgendosi da una porta. Forse la foto, eseguita senza curarsi di allestimento scenico, deve servire per una Maddalena ai piedi della croce. A suo modo risolve in privato quella questione ancora aperta, posta da Baudelaire, se il fotografo dovesse considerarsi un artista (il poeta fece un intervento per escluderlo): Michele Comella spesso firma direttamente la lastra al bromuro d'argento come un pittore firma una tela, affermando in questo modo la consapevolezza di essere un artista. Un artista che meriterebbe un giusto riconoscimento postumo, a 87 anni dalla sua morte.
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