Una lontana linea d’alberi evapora nella bruma, che sale dall’orizzonte liquido, dietro scaglie di sole galleggianti. Un placido battere d’ali, quasi rallentato, sembra incapace di sostenere l’airone che spicca il volo. Plana laggiù, tra le canne alte, frontiera di piani d’acqua chiazzati di tife, che raccontano il mutevole carattere del fiume. Nel basso ferrarese il Po ha tracciato nei secoli scacchiere di paludi e d’acquitrini, tradite dalle vene principali del fiume, che pulsano oggi più a nord. Tradite anche dall’uomo, che ha prosciugato gran parte delle antiche valli d’acqua. Scomparsa l’immensa Valle del Mezzano, scomparse le Valli di Ostellato, le Valli di Comacchio, da secoli legate alla vallicoltura, sono l’ultimo grande regno d’acqua sopravvissuto alle bonifiche. È una storia affascinante, in cui l’uomo ha strappato la terra all’acqua in una lotta secolare, «guadagnando qualcosa e perdendo qualcos’altro», così sintetizzava Mago, un vecchio pescatore d’anguille conosciuto qualche anno fa a Ostellato. «Le pescavamo con le mani nell’acqua bassa, le pescavamo con le reti, con le fiocine, con le lenze, a cui annodavamo un amo dietro l’altro». Mago non lo dice, è sottinteso: le pescavano di notte, fiocinando alla cieca, le pescavano di frodo e la loro pesca era illegale. Le valli, da sempre proprietà demaniali, erano una riserva di pesca dello stato, che ne appaltava la gestione a una società di sfruttamento, operante in regime di monopolio assoluto. La vallicoltura, ossia all’allevamento estensivo di specie ittiche pregiate, in primis l’anguilla, si imperniava sui 'casoni', stazioni di pesca senza acqua corrente né luce né servizi, confinate nel cuore delle paludi, dove risiedevano i 'vallanti', gli operai delle valli, nel corso delle campagne di pesca. 'Servi della gleba' li chiama Mago, per le durissime condizioni in cui prestavano il loro lavoro, che si svolgeva in gran parte di notte. Il lavoriero era l’elemento essenziale della pesca di valle: un’opera in pali e graticciati di canne collocata sui canali di comunicazione tra l’interno delle valli e il mare, che imprigionava le anguille durante le 'smontate', le migrazioni notturne verso il mare, preferibilmente nelle notti di maltempo. Mago era invece un 'fiocinino', lavorava in proprio, inseguendo i 'bisat' in acque libere. Erano in tanti come lui, dopo la guerra, senza lavoro e molta fame. Si arrangiavano come potevano, di nascosto dai guardiani. Questi ultimi erano la terza figura dell’universo delle valli. Vigilavano contro la pesca di frodo, ingaggiando coi fiocinini una lotta senza quartiere. Di giorno spiavano l’orizzonte dalle torrette dei loro casoni; di notte battevano gli specchi d’acqua sui velucepi, barche velocissime, prive di chiglia e perciò difficili da condurre, utilizzate anche dai fiocinini, che con esse riuscivano perfino a scavalcare in corsa gli argini bassi. Ma la disputa tra guardiani e bracconieri non si svolgeva solo in valle, investiva l’intera Comacchio: liti per strada, baruffe, insulti, inganni e furberie. La faida non di rado si compiva tra le mura delle stessa casa, quando al figlio di un fiocinino capitava d’essere assunto come guardiano. Poi c’era i transfughi, guardie che passavano dall’altra parte, perché il lavoro del fiocinino era più rischioso ma ben più remunerativo: qualche notte di pesca fortunata rendeva quanto un mese di nottate di pattuglia. Echi di questo mondo scomparso possono essere colti grazie a un’iniziativa del Parco del Delta del Po Emilia Romagna, «In barca nelle Valli di Comacchio», un’escursione in battello che, partendo dalla Stazione Foce fa tappa in alcuni casoni di valle, dove ci si può fare un’idea del lavoro dei vallanti e delle dure condizioni in cui si svolgeva. Comacchio è la capitale delle valli, sorta su 13 isole all’estremità della Valle Fattibello. Si visita a piedi, ma anche in barca, partendo dall’antica pescheria, a due passi dai Trepponti, il monumento simbolo della cittadina. Attraverso l’intreccio di canali, ponti e riflessi colorati di facciate si può arrivare fino alla calata della Manifattura dei Marinati, dove dal 1933 l’Azienda Valli Comunali di Comacchio concentrò la lavorazione del pesce, che oggi ospita il centro di documentazione sulla pesca di valle. Sul lato opposto della calata c’è il Loggiato dei Cappuccini, che collega al santuario di Santa Maria in Aula Regia il centro storico di Comacchio, con la cattedrale di San Cassiano, la Torre dell’Orologio, la Loggia dei mercanti del grano e il Vecchio Ospedale San Camillo, sede del Museo delle Culture Umane del Delta del Po. Poco a nord di Comacchio l’abbazia benedettina di Pomposa irraggia da oltre un millennio la sua luce tenace. Fondata nel VI-VII secolo, fiorì all’inizio dell’XI, divenendo un importante centro civico e di amministrazione della giustizia, oltre che culla di spiritualità benedettina. Questa cittadella della fede ebbe, tuttavia, vita breve. Nel 1152 una disastrosa alluvione del Po distrusse l’economia del monastero e con essa la sua funzione civica e religiosa. La soppressione si rese inevitabile. Abbandonato per secoli il complesso tornò in vita grazie a un restauro del 1920-30. Accanto alla chiesa, risalente agli anni tra il 751 e l’874 e splendidamente decorata da affreschi, pavimenti a tarsia e mosaici, svetta l’altissimo campanile del 1063, in forme romanicolombarde, simbolo originale di Pomposa. Di fronte al complesso sacro è il palazzo della Ragione, del secolo XI, dove l’abate di Pomposa esercitava la giustizia civile. Nonostante una parte degli edifici siano andati perduti, quello di Pomposa rimane uno straordinario insieme architettonico, che riflette un passato glorioso e un ruolo di faro e guida spirituale per la regione delle valli.