Da Adamo ed Eva al Protocollo di Kyoto. In poco più di novanta minuti. Ecco
CO2, l’opera di Giorgio Battistelli che il 16 maggio debutterà al Teatro alla Scala. Dopo la
Turandot di Puccini, che il 1° maggio inaugurerà la stagione di Expo, il teatro ha voluto mettere in cartellone un titolo contemporaneo per l’evento che richiamerà a Milano turisti da tutto il mondo. L’ambiente al centro della partitura che il compositore di Albano Laziale, classe 1953, ha tratto dal libro
Una scomoda verità del premio Nobel americano Al Gore. «La grande sfida è stata quella di costruire una drammaturgia su un soggetto così particolare perché Al Gore propone una serie di schede dettagliate sullo stato di salute del nostro pianeta. Per raccontare il rapporto complesso tra uomo e natura – anticipa Battistelli – ho voluto fare un viaggio nei secoli che parte dalla Genesi e si chiude con una visione apocalittica».
Ci racconta questo viaggio, Battistelli? «L’opera ha una struttura simbolica, nove scene e un epilogo con un filo conduttore che è il rapporto tra uomo e natura: si parte da Adamo ed Eva e si arriva allo tsunami. A guidare lo spettatore la figura di uno scienziato, David Adamson, che tradotto significa figlio di Adamo. Raccontiamo le deturpazioni che il mondo ha subito e le catastrofi naturali. C’è una danza degli uragani dove sfilano le maggiori calamità che hanno messo in ginocchio varie zone del pianeta negli ultimi 25 anni. E c’è quello che l’uomo ha provato a fare per tutelare la terra: mettiamo in scena il Vertice di Kyoto con i delegati che, discutendo di clima, parleranno ognuno nella propria lingua, inglese, arabo, russo e giapponese. Il finale racconta l’Apocalisse con quattro arcangeli che dialogano con quattro scienziati».
Come è nata l’idea di Co2?«Un po’ per caso. Quando nel 2007 l’allora sovrintendente della Scala Stéphane Lissner mi propose una nuova opera da mettere in scena nel 2011, per i 150 anni dell’Unità d’Italia, stavo leggendo
Una scomoda verità di Al Gore, un’accurata analisi tecnica, ma che in alcuni punti sembra fantascienza. Mi passò per la testa di provare a farne un’opera: non volevo, però, un soggetto né politico né ideologico, ma un tema che varcando i confini dell’opera potesse essere universale. E quello dell’ambiente abbraccia tutto il mondo. Ho scritto un’opera per grande orchestra dove ho lavorato su materiali seriali e modulari, non rinunciando, però, all’elemento espressivo, alla frase musicale e alla voce».
Poi però la messinscena è slittata e il debutto avviene ora, a quattro anni dalla data programmata.«Un progetto che si è rivelato complesso. Abbiamo cambiato tre registi e due librettisti. Il primo team era formato da William Friedkind e dallo scrittore Joseph Donald McClatchy. Ma quando il mio lavoro di composizione era già molto avanzato ci sono stati attriti tra regista e librettista ed è saltato tutto. Alla regia è subentrato Robert Lepage. Con lui abbiamo lavorato per due anni con anche simulazioni di quella che sarebbe stata l’opera. Ma poi il progetto è stato sospeso per costi di produzione troppo alti. Terza ed ultima squadra è quella formata dal librettista Ian Burton e dal regista Robert Carsen. Con loro si compie il cammino dell’opera che nel frattempo ha anche cambiato titolo da
An inconvenient truth a
Co2».
Cosa l’ha fatta andare avanti tra tutte le difficoltà?«Mi ha affascinato lavorare su un tema che potesse far riflettere sul nostro presente. Cosa che rappresenta il compito di ogni forma d’arte: l’arte non deve dare soluzioni, ma chiavi di lettura del presente. Oggi la musica, in quanto forma d’arte, non può continuare a essere autoreferenziale e conciliante. Deve porre delle domande anche scomode. E così diventa anche politica. Perché ponendo domande invita a riflettere e approfondire. Io l’ho fatto documentandomi, cercando studi di scienziati anche su posizioni agli antipodi di quelle di Al Gore. E ho riscoperto la passione per l’impegno civile a partire dai temi dell’ambiente. Ognuno di noi dovrebbe interrogarsi sulla vivibilità delle nostre città, sulle risorse primarie del territorio, sul clima, su come condividere un bene come l’acqua».
Co2 parte dalla Genesi e si chiude su una visione apocalittica. Il rispetto del creato è anche un tema che chiama in gioco la fede.«La spiritualità entra inevitabilmente nel mio lavoro di compositore. Perché rifletto sui grandi temi della vita e mi lascio interrogare. La forma di creatività che è la musica mi mette ogni giorno a contatto con la fede perché mi spinge a interrogarmi su quali zone dello spirito tocca quello che scrivo. C’è un’immagine drammatica che Al Gore usa e che secondo me rispecchia la nostra società dove la spiritualità è messa in un angolo: lo scrittore parla di scioglimento dei ghiacci che richiama lo sciogliersi dei sentimenti che impedisce l’ascolto degli altri e di noi stessi. Una capacità che dovremmo ritrovare. E che la musica ci può insegnare».
Anche quella contemporanea che sui nostri palcoscenici fatica a trovare spazio?«Le mie opere per fortuna vengono riprese spesso, il Riccardo III è andato in scena in sei teatri europei. Certo oggi fare musica contemporanea è un problema di politica culturale. Specie in Italia dove non viene adeguatamente sostenuta. Occorre far capire l’importanza di una rete per promuovere e diffondere la musica contemporanea che sia basata su una progettualità, la grande assente nei nostri teatri».