venerdì 15 gennaio 2010
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Il 1968 è un anno delicato nella vita di Olivier Clèment. Ma il 1968 o il ’68, come si dice più rapidamente, è divenuto una categoria politologica, se non dello spirito. Jean-Pierre Le Goff ricordava, trent’anni dopo quegli avvenimenti, che di fronte a un conflitto sociale ancora si dice: andiamo verso un nuovo ’68? Gli avvenimenti del 1968 rappresentano in Francia, in Europa, nel mondo cristiano, qualcosa che scuote in profondità quegli equilibri di visioni e di pensieri come si erano assestati con il 1945, la fine della seconda guerra mondiale.Non si tratta qui di richiamare lo sviluppo del ’68 in Francia e in Europa. Su questo tema esiste una vastissima bibliografia e memorialistica, anche perché se ne discute ogni anniversario come di una storia che non passa. Olivier Clément non solo ha scritto sul ’68, ma ha vissuto quelle vicende con un travaglio esistenziale profondo in rapporto con i giovani.Era infatti professore allo storico liceo Louis-le-Grand, situato proprio nel Quartiere Latino. Alternava questo impegno didattico (nel 1968-69 ebbe la classe prima terminale) con l’insegnamento di teologia morale per mezza giornata all’Istituto Saint Serge.L’impatto con il ’68 non fu solo quello con il Quartiere Latino, a tratti controllato dagli studenti e attraversato dalle loro manifestazioni, ma con gli stessi giovani del suo liceo, le loro idee, i loro dibattiti, le loro trasgressioni, animate dai movimenti marxisti e anarchici del ’68, ma in particolare dai maospuntex. Il ritmo istituzionale dell’insegnamento era turbato. Nel quadro del ruolo classico del docente, Clément aveva introdotto elementi personali di contatto con gli studenti, ma vedeva con preoccupazione la rottura introdotta nel mondo del liceo.Per Clément, il ’68 era un problema personale di contatto diretto con i giovani della sua scuola e della sua famiglia. Ma era anche avvenimento maggiore da discernere e di fronte a cui situarsi.Jean Paul Sartre, intellettuale engagé, si era collocato nel movimento, andando a parlare agli studenti in Sorbona, passando quasi il testimone a Daniel Cohn-Bendit. In un colloquio con quest’ultimo aveva riconosciuto la forza del movimento: «La Francia è stata praticamente paralizzata. Tutto ciò perché gli studenti si erano impadroniti delle strade del Quartiere latino».Raymond Aron, già allora autorevole intellettuale che da tempo aveva chiesto una riforma degli studi superiori, parla del ’68 come di una «rivoluzione introvabile». «Psicodramma o fine di una civiltà», si chiede in un volume pubblicato proprio nel 1968. La sua analisi era stata considerata come espressione di un conservatorismo che rischiava di essere travolto dai tempi nuovi.Il mondo cristiano, in particolare quello cattolico, viene scosso in profondità dal ’68. Non si può dimenticare che gli avvenimenti si svolgono a 5 anni dalla conclusione del Vaticano II, in un clima di effervescente recezione del Concilio in cui tanto si insisteva sulla capacità di leggere i «segni dei tempi». In realtà sulla coscienza di non pochi cattolici militanti pesava l’idea di aver accumulato tanti ritardi rispetto alla storia, anche come si era visto dall’atteggiamento non incisivo della Chiesa francese sulla guerra di Algeria conclusasi nel 1962.Era tutta una lettura della storia della Chiesa elaborata dai testi piuttosto popolari di Adrien Dansette. E i vescovi francesi, proprio nel 1968 avevano lanciato un documento dal titolo significativo, L’Eglise prendra-t-elle un nouveau retard? («La Chiesa sarà ancora più in ritardo?»). È l’idea del kairòs neotestamentario da cogliere nella storia. Il ’68 non è un grande segno per i cristiani, animato com’è da un forte utopismo escatologico?Nel marzo 1968 si tiene un colloquio a Parigi, organizzato da vari gruppi, tra cui Cimade, Economie et Humanisme, Frères du Monde ed altri, su Christianisme et révolution, alla cui conclusione si approva un documento che afferma: «La lotta rivoluzionaria s’iscrive nella prospettiva della costruzione del Regno di Dio, senza identificarsi in esso».Concilio, movimento del ’68, solidarietà con le rivoluzioni del Terzo Mondo si iscrivono nella stessa traiettoria. Michel de Certeau parla di una «rupture instauratrice» che disloca ogni discorso ed esperienza religiosa fuori dalla teologia per portarle nel mezzo delle scienze umane. Denis Pelletier ha raccontato la storia della «crise catholique» nel quadro del ’68 in tutta la sua profondità. I cristiani non debbono rispondere all’appello del loro tempo? E l’appello è quello di cambiare il mondo. Sorge qui il tema della violenza, proposto dai movimenti rivoluzionari del Terzo Mondo. Nel 1967 la Settimana degli Intellettuali Cattolici Francesi è dedicata proprio alla violenza, con interventi di Réné Rémond, di Paul Ricoeur, di Raymond Aron.Dal Sud del mondo sembra salire un movimento che interpella i cristiani. Il ’68, il suo clima, le sue domande dividono i cristiani. Ha raccontato il cardinal Lustiger, critico sul ’68, a proposito delle ripercussioni di questo movimento nel mondo della Chiesa: «Una parte dell’ambiente ecclesiastico era preso nella stessa follia, usava gli stessi concetti, trasferiva nell’istituzione ecclesiastica le medesime categorie, le stesse manipolazioni…».Olivier Clément non si identificava istintivamente con il movimento del ’68, ma non si chiude nemmeno in un atteggiamento totalmente negativo. Intende cioè provare a cogliere alcuni sintomi che il ’68 esprime. C’è una pagina di Clément, che lo mostra spettatore interessato delle manifestazioni del ’68, di cui nota il carattere di ricerca della festa. Egli coglie in profondità la rottura della tradizione operata dal ’68 (che è stato rivolta contro le istituzioni della tradizione, la Chiesa, lo Stato, la scuola…); ma anche nota l’aspirazione religiosa o pseudoreligiosa alla trasfigurazione del personale e del collettivo. Una più puntuale riflessione del nostro autore sul ’68 è operata con il domenicano Marie Joseph Le Guillou, familiare con la spiritualità ortodossa, suo coetaneo (nato nel 1920), e con Jean Bosc, pastore protestante ed ecumenista di grande livello. Il ’68 interpella i cristiani e merita una risposta ecumenica. In un testo sul senso del ’68 (in larga parte redatto da Clément, ma non firmato), si dice che la crisi è «figlia ribelle di una civiltà del non-senso».Si tratta di una rivoluzione? Mao, Che Guevara, i leader rivoluzionari terzomondiali sono evocati; ma – concludono gli autori – «piuttosto che a una rivoluzione, sembra che ci troviamo di fronte a una messinscena appassionata, quasi liturgica, della rivoluzione».I rifiuto di ogni definizione ideologica, l’assenza di un vero scopo, il gusto della violenza e della distruzione, il tutto o niente, sono segni di un’aspirazione mitica a un’esistenza diversa. Il marxismo, divenuto un mito, si presta a fornire slogan e materiali a questa confusa aspirazione a cambiare le cose.Bosc, Le Guillou e Clément firmano un testo che è un chiaro rifiuto di farsi trasportare dalle passioni del ’68 e di dar loro un avallo teologico. Anzi, non condividono la scelta di abbracciare il marxismo e la violenza. Per loro i giovani, attraverso il linguaggio marxisteggiante del ’68, esprimono domande più profonde di trasformazione personale in profondità. Si tratta di una posizione critica nei confronti del ’68, ma che tende a coglierne le domande spirituali.Jean Daniélou, patrologo gesuita (che era stato immerso nel secondo dopoguerra nell’esperienza della rivista Dieu vivant, a cui Clément era legato tanto da conservarla sempre in camera) prova simpatia per la rivolta dei giovani, considerandola come una contestazione della società del niente. Gli appare una reazione mistica e selvaggia contro la società tecnocratica dominante.Ma poi diventa critico, soprattutto quando la miscela freudiana-marxista si riversa nella Chiesa. In una prospettiva simile si muoveva Maurice Clavel, che inizialmente salutò gli avvenimenti come il ritorno del Rimosso, ossia della ricerca di Dio, accreditandola come una rivoluzione spirituale: «L’anno zero di che cosa non si sa» è il titolo di un suo articolo nel giugno 1968 su Le Nouvel Observateur. Ma progressivamente Clavel nota uno scivolamento in quello che considera un «maoismo libidinale».Clément simpatizza per Clavel e le sue posizioni, mentre è attratto dal suo percorso di conversione. Interpellato dalla crisi di maggio, Clément riproponeva la via che aveva abbracciato 10 anni prima, con la sua conversione.Questa via era stata la scoperta della maternità della Chiesa e di una paternità sulla sua vita, che lo aveva inserito nel flusso vivo di una tradizione spirituale. Ma il ’68 significava anche la morte del padre e dei maestri, mentre si rompeva con ogni tradizione, facendo di tutte, un unico bersaglio.
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