Lo sport deve uscire dalle farmacie disse Zeman, ma forse il ciclismo dopo il Giro-Covid di quest’anno è il caso che rientri nei laboratori per uno studio più approfondito. In questo anno difficile e complicato, che prosegue con la sua seconda ondata di carica virale e nelle peggiori delle ipotesi toglie il respiro e nelle migliori ci intossica le menti, il ciclismo è forse il caso che venga studiato da virologi e non solo da loro. Il presidente dell’Unione Ciclistica Internazionale - il governo della bicicletta -, David Lappartient è stato chiaro e al contempo orgoglioso: «Il ciclismo è forte, ha dimostrato di avere un protocollo sanitario forte, rafforzato dai tamponi antigenici in aggiunta a quelli molecolari. Quelli antigenici sono molto utili e ringrazio Rcs Sport per averli inseriti, il Giro ha aperto una strada. A fine novembre ci sarà un incontro per valutare il nostro protocollo sanitario e decidere come adattarlo alla luce anche dei nuovi test introdotti dal Giro. Il ciclismo è stato decisivo per dimostrare a tutto il mondo dello sport che si possono avere eventi sportivi con il pubblico, in aree aperte e con grande sicurezza», ha chiosato sempre Lappartient, una settimana fa in piazza Duomo, per la conclusione del Giro.
Insomma, la “corsa rosa” come cartina tornasole o format da adottare anche da altre discipline sportive, ad incominciare dal calcio, che le bolle le ha pure fatte, ma poi ci ha pensato l’Uefa a farle infrangere chiedendo che i giocatori raggiungessero ognuno le proprie nazionali per la Uefa Nations League: complimenti vivissimi. Il piano anti-Covid elaborato dal professor Tredici, dal 1982 medico della “corsa rosa”, e messo in opera dal dottor Massimo Branca e dal figlio d’arte il dottor Stefano Tredici è lì da vedere. Oltre ai tradizionali tamponi molecolari Pcr, per la prima volta in una manifestazione sportiva di alto livello sono stati utilizzati anche quelli antigenici veloci, che hanno dato risposte in pochi minuti. Il tutto con l’apporto di una vera squadra di specialisti (undici) del Centro diagnostico italiano di Milano che hanno eseguito più di 8 mila tamponi tra molecolari e veloci, con soli quattro corridori positivi: Simon Yates, Michael Matthews, Steven Kruijswijk e Fernando Gaviria. Solo quattro, di cui solo Simon Yates sintomatico e Gaviria recidivo visto che a febbraio lo era già stato.
Insomma, la “bolla” del ciclismo ha funzionato. Atleti giovani che corrono gomito a gomito per delle ore e, nonostante siano impegnati in una corsa a tappe che ha come fine ultimo quello di indebolire il sistema immunitario, non si sono infettati. Non sono un medico, ma credo però che questo Giro mai come questa volta contenga contenuti scientifici di rilevanza mondiale. Insomma, il ciclismo negli ultimi anni è uscito dalle farmacie, ma è bene che qualcuno lo riporti in laboratorio: per studiarlo.
«Non ci posso credere». Matxin, d.s. della Uae-Emirates, racconta che Fernando Gaviria gli ha detto così quando ha saputo della nuova positività al Coronavirus. Il velocista colombiano aveva già fatto conoscenza di questo infido nemico all’Uae Tour di fine febbraio, anzi era stato il primo caso del ciclismo. Adesso la ricaduta che lo ha costretto al ritiro dal Giro e alla quarantena (è stato trasferito con una ambulanza nella sua casa di Montecarlo) nonostante stavolta si sentisse bene e non avesse sintomi. «La prima sensazione è stata quella della stranezza — ha spiegato Matxin —. Ha fatto un secondo controllo e il risultato è stato lo stesso, però davvero non ha nulla, nessun problema».