LA SVIZZERA AMATA DAI VIP Tra i vigneti patrimonio Unesco di Lavaux e i riflessi del lago attorno allo splendido maniero di Chillon che stregò Byron, la regione tra Losanna e Montreux ha sempre affascinato artisti e vip; uno per tutti: David Bowie. Per turisti e appassionati di cinema attratti dal nuovo Chaplin’s World (ingresso 23 franchi, prenotazione online consigliata su www.chaplinsworld.com) le sole tre ore da Milano con le Ferrovie Svizzere permettono la visita in giornata. L’efficiente rete di bus dà anche il tempo per vedere altri luoghi legati a Chaplin-Charlot. Primo tra tutti il silenzioso cimitero di Corsier, con le tombe gemelle di Charles e Oona, non è distante dal parco pubblico donato da Chaplin alla comunità locale. Sul bel lungolago di Vevey, una fotografatissima statua di Charlot dialoga a distanza con l’altrettanto fotografata statua di Freddie Mercury, idolo della vicina Montreux. Se Charlie Chaplin fosse salito su una metropolitana in una qualsiasi grande città dell’odierna era dello smartphone, chissà che sequenza e che gag ne avrebbe tratto. La domanda non è affatto peregrina, dato che l’artista che ha reso immortale il personaggio di Charlot e che a sua volta da Charlot è stato proiettato nel mito, nel 1936 apriva il film
Tempi moderni associando l’immagine di un gregge di pecore a quella di una frotta di pendolari in uscita, appunto, da una stazione del metro. E poi, nell’epoca del minischermo che cattura e imprigiona i nostri sguardi, cosa avrebbe pensato e fatto un simile genio del grande schermo? Temi e suggestioni che si accavallano qui a Corsier-sur-Vevey, a due passi da Montreux e Losanna, sulle sponde del lago di Ginevra, in un angolo di Svizzera che più svizzero non si può. Sì, perché per capire Charlot, emozionarsi, ridere, pensare, commuoversi anche, di fronte a Charlot ora si può venire a casa sua, letteralmente. Si chiama Chaplin’s World e apre al pubblico oggi dopo quasi 16 anni di gestazione e a 127 esatti dalla nascita del suo protagonista. “Avvenire” lo ha visto in anteprima, percorrendo le stanze e le sale del magnifico allestimento in compagnia degli ideatori e soprattutto di Michael Chaplin, uno degli otto figli di Charlie Chaplin e Oona O’Neill (figlia del drammaturgo americano Eugene e quarta moglie dell’attore). L’architetto Philippe Meylan e Yves Durand, museografo, parlano all’unisono: «Possiamo proprio dire che Chaplin è tornato a casa sua. Qui nella tenuta del Manoir du Ban, che aveva acquistato nel 1953 come nuova residenza dopo che gli era stata negata la possibilità di rientrare negli Usa, si riscoprono le scene più celebri dei suoi film, si entra negli ambienti dei set, si incontrano i personaggi degli attori e delle attrici che hanno lavorato con lui». E che la promessa non sia eccessiva lo si riscontra subito. Il “primo tempo” del percorso di visita è infatti un itinerario immersivo nel grande edificio costruito appositamente nel parco della tenuta affacciata sul Lemano. L’inizio non può che essere una sala cinematografica in cui i visitatori, grazie a un magistrale montaggio che intreccia la storia del secolo breve e la vita di Chaplin, entrano letteralmente nel mondo di Charlot. Sì, perché dopo pochi minuti lo schermo si alza e ci si ritrova a camminare nella Easy Street della vecchia Londra accanto alle statue di cera dell’arcigno poliziotto e del giovanissimo monello. Non c’è tempo per sorprendersi ed eccoci nella sala dedicata al circo e alla pantomima dove a rendere omaggio a Charlot che imperversa sugli schermi alle pareti ci sono Arturo Brachetti e Roberto Benigni ma anche Michael Jackson con Laurel & Hardy e Federico Fellini. La tridimensionalità dei personaggi in cera – una specialità della casa Grévin che firma gli allestimenti e astuta e ammiccante soluzione espositiva cattura- selfie – si abbina alla perfezione con i video e con le ambientazioni evocative e molto teatrali che toccano tutti i luoghi-simbolo della poetica di Chaplin sia quella dei primi cortometraggi sia quella dei capolavori universalmente conosciuti: dal ristorante alla prigione, dalla bottega del barbiere al set di
Tempi moderni.Anche la scala che unisce i due livelli è dominata dalla gag di Charlot che scende dalla scala mobile. Woody Allen “commenta” silenziosamente l’ambiente dedicato al denaro ma quasi lo si ignora, attratti come si è dalla riproduzione della
main street e del giardino accanto al quale sorride la fioraia cieca di
Luci della città per poi passare alla teca che contiene gli abiti di scena originali del
Grande dittatore accanto agli immortali bombetta e canna di bambù. E proprio il bastoncino da passeggio diventa agli occhi dei visitatori più attenti un delicato elemento di unione con il secondo tempo della visita. A pochi passi dallo “Studio” che abbiamo appena lasciato, c’è il “Manoir”, la casa della famiglia Chaplin, ora interamente riallestita e aperta alle visite con un abilissimo intreccio di autenticità e fiction “esperienziale”. Proprio in uno dei video che popolano i diversi ambienti della villa si vedono Oona e Charles a passeggio nei viali che si scorgono dalla finestra. Sembra una replica del famoso finale di
Tempi moderni, ma non è finzione: Chaplin è anziano e si appoggia da una parte al braccio della moglie di 36 anni più giovane e dall’altra a un bastone che stavolta è dritto e robusto, non più oggetto di teatro ma reale necessità di vita. È la chiave emblematica della visita al “Manoir”: difficile infatti nascondere emozione e sorpresa nel potersi affacciare sulla vita di uno dei più straordinari geni del grande schermo grazie a tremolanti filmini fatti letteralmente in casa e cioè qui. Scene di vita famigliare, visitatori famosi – divertente la sala da bagno con un beffardo Einstein – tavolate in giardino; tutto come nei video di casa nostra. Ma se Chaplin di colpo improvvisa una smorfia o una mossa della gamba ecco che di colpo Charlot riaffiora inconfondibile facendosi beffe dei lineamenti segnati dall’età e dagli acciacchi. «Ho passato gran parte della mia infanzia in questa casa» commenta sottovoce Michael Chaplin, presidente della Fondazione Museo Chaplin. «Compagni di scuola salivano qui nel parco per giocare dopo i compiti: erano delusi dal vedere che mio padre era un uomo con i capelli bianchi: non è Charlot! dicevano. E in effetti il vagabondo Charlot è sempre stato senza patria; ma ora possiamo ben dire che qui a Chaplin’s World ne ha trovata una, definitiva e aperta a tutti quelli che lo hanno amato e lo ameranno».