domenica 14 luglio 2024
Tramontate le ideologie, i critici letterari Giuseppe Lupo, Fabio Pierangeli,Antonio Spadaro e Caterina Verbaro discutono del passatoe soprattutto di quale punto di vista esercitare sul presente
Libri aperti a una mostra

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Prosegue il dibattito su cattolicesimo e cultura, avviato da PierAngelo Sequeri e Roberto Righetto. Sono intervenuti Gabriel, Forte, Petrosino, Ossola, Spadaro, Giaccardi, Lorizio, Massironi, Giovagnoli, Santerini, Cosentino, Zanchi, Possenti, Alici, Ornaghi, Rondoni, Esposito, Sabatini, Cacciari, Nembrini, Gabellini, Vigini, Timossi, Colombo, De Simone, Arnone, Bruni, Postorino e Dionigi.

Fino ad alcuni decenni fa, ogni critico letterario aveva una chiara matrice ideologica (da cui discendeva spesso l’approccio metodologico): c’erano critici marxisti, cattolici, freudiani e così via. La critica cattolica aveva un ruolo visibile e riconoscibile. E, a partire dall’analisi e dall’interpretazione delle opere letterarie, offriva un contributo significativo al più ampio dibattito sulle idee. Oggi esiste ancora una critica cattolica identificabile in quanto tale? E se non esiste più, ciò è un bene o un male? Abbiamo posto queste domande, come punto di partenza di un ragionamento più ampio, a quattro autorevoli esponenti della critica letteraria attuale, a diverso titolo attivi nel mondo cattolico o comunque ad esso vicini.

Giuseppe Lupo, professore di Letteratura italiana contemporanea all’Università Cattolica di Milano, parte da una constatazione di ordine più generale: «Diciamo che oggi non esiste più (o, se esiste, rimane nell’ombra) l’esercizio della critica così come era intesa nel secolo scorso, cioè filtro, valutazione, confronto. Semmai è aumentata l’aggressività, spesso esercitata, peraltro, verso la persona, non verso il libro in oggetto. Questo credo abbia sparigliato le carte, rendendo inutilizzabile il paradigma cattolico nel fare critica letteraria. Resta forse lo sguardo, che però può andare incontro a fraintendimenti in relazione ai rigurgiti ideologici e identitari».

Anche per Fabio Pierangeli, ordinario di Letteratura italiana all’Università di Roma “Tor Vergata”, oggi non esiste una critica cattolica in quanto tale. Esiste però il valore di un’ispirazione cristiana e di una sensibilità ai temi religiosi, «diffusa e riscontrabile», spiega lo studioso, «in alcune riviste, tra cui per esperienza diretta sento di citare “Studium” (con una storia che sfiora i 120 anni), “La Civiltà Cattolica” e le stesse pagine culturali di Avvenire e dell’Osservatore Romano, largamente aperte al dialogo tra le religioni e soprattutto con il mondo laico, anche nel campo letterario».

Pierangeli cita “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti italiani, di cui è stato a lungo direttore padre Antonio Spadaro, oggi sottosegretario del Dicastero vaticano per la Cultura e l’Educazione. Il quale mette in guardia su un rischio: «Esistono cattolici che hanno il talento, la sensibilità e il mestiere per essere critici letterari. Il problema della riconoscibilità della “critica cattolica” rischia di sfiorare l’ideologia. La fede è un’esperienza che ha nel suo codice genetico la domanda sul senso e l’orizzonte della trascendenza, non un sistema di idee e parametri valutativi da applicare».

Caterina Verbaro, professoressa di Letteratura italiana contemporanea all’Università Lumsa di Roma, prova a storicizzare la questione: «L’esistenza di un’entità definibile come “critica cattolica” è legata al panorama culturale degli anni ’30-70 del Novecento. Oggi, dopo la crisi delle ideologie, siamo lontani da una concezione agonistica e dualistica di cultura, di cultura letteraria, di interpretazione del testo e del mondo: non si combatte più per una “squadra”. Per questi motivi non credo che oggi si possa ipotizzare l’esistenza di una “critica cattolica”». Ma questo è un dato positivo o negativo? «Credo che ciò sia un male solo nella misura in cui a mancare è un punto di vista divergente e critico rispetto allo scenario culturale attuale, fondato sull’acritica esaltazione della tecnologia e sul predominio del consumo culturale. In ciò la penso come Pasolini: è questo punto di vista “altro”, rispetto al mainstream letterario e culturale, che i cattolici dovrebbero incarnare».

Continuando sulla via della storicizzazione, nel Novecento Pierangeli indica le pagine di Giuseppe Ungaretti saggista (per esempio su Dante, Iacopone, Michelangelo, Leopardi) come critica di ispirazione religiosa non ideologica, «ancora molto attuale per incisività e sguardo doloroso ma pieno di speranza sulla realtà». Ma anche, in questo senso, i contributi di Mario Luzi, David Maria Turoldo, Margherita Guidacci e le riflessioni degli Scritti cristiani di Mario Pomilio sull’arte cristiana. E ancora Geno Pampaloni, Ezio Raimondi, Giorgio Bárberi Squarotti (di cui “Studium” ha in programma la ripubblicazione di alcuni saggi) e il suo maestro Emerico Giachery, «in particolare per le sintoniche pagine sugli aspetti religiosi di Ungaretti, definito giustamente “verticale”». Lupo aggiunge i nomi di Carlo Bo e Valerio Volpini: «Ciascuno, a suo modo, ha vissuto l’inquietudine religiosa come chiave di confronto con la cultura».

Per Caterina Verbaro, diverse voci di critici cattolici del Novecento avrebbero ancora qualcosa da dire e potrebbero essere utilmente rivalutate. Alla grande galassia dei critici ermetici degli anni ’30-40 (oltre ai già menzionati Bo e Luzi, anche i poeti-critici Piero Bigongiari e Alessandro Parronchi), bisognerebbe aggiungere Piero Bargellini, «un grande intellettuale il cui apporto alla letteratura, non solo come fondatore di “Frontespizio”, deve in buona parte ancora essere ricostruito. Molti altri critici letterari variamente riconducibili a un’ispirazione cattolica meriterebbero una maggiore fortuna: Ruggero Jacobbi, Antonio Piromalli, Giuseppe Tedeschi, Romano Guardini. In area non italiana voglio poi ricordare Jean-Pierre Jossua, sostenitore della legittimità di una “teologia letteraria”».

Padre Spadaro fa invece il nome di un teologo, non di un critico letterario: Karl Rahner. «Sono poco noti i suoi scritti letterari. Li ho raccolti tempo fa in due piccoli volumi. Le sue riflessioni sono preziose, soprattutto quelle sulla parola poetica. C’è una differenza, dice, tra le parole che sono come “farfalle morte, infilzate nelle vetrine dei vocabolari”, e le parole viventi, che esistono da sempre e che, “quasi per miracolo, rinascono continuamente”. Le prime sono senza mistero, superficiali, sufficienti per la mente. Le seconde sono oscure, perché “evocano il mistero luminosissimo delle cose”. Sono queste le parole della poesia».

Venendo dal passato al presente, oggi, al di là di una rigida appartenenza ideologica (che nel contesto attuale potrebbe apparire anacronistica), in che cosa consiste la particolare sensibilità che un critico cattolico è in grado di esprimere? Giuseppe Lupo la identifica nel bisogno di nutrirsi di argomenti in grado di resistere alla piatta cronaca della cosiddetta “cultura orizzontale” (quella della rete, dei social, delle community). «Su questo tema – dice – probabilmente restano ancora aperti degli spazi di manovra». Per Caterina Verbaro, il punto di vista cattolico nel leggere i fenomeni letterari si esprime in una gamma valoriale, peraltro non necessariamente dicotomica rispetto alla cultura laica: «Quello della critica di ispirazione cattolica non può che essere un punto di vista specificamente attento all’uomo e alle sempre nuove declinazioni dell’umanesimo, che non teme di porsi domande di senso. Altro tema rispetto al quale si attiva la sensibilità critica cattolica, specie nell’attuale scenario dell’antropocene, è quello del linguaggio, in quanto fattore distintivamente umano: la sua crisi, le derive dell’afasia, la sua resa a standard comunicativo che caratterizza il nostro tempo non possono non trovare nella sensibilità cattolica un ascolto attento».

«La sensibilità religiosa – afferma Fabio Pierangeli – sviluppa l’attenzione alle domande radicali sull’esistenza, secondo la azzeccata formula di don Massimo Naro, teologo ma anche finissimo studioso di letteratura, a cui si aggiunge ultimamente una convergenza sulle tematiche dell’inclusività, a partire da una coscienza della bellezza dell’imperfezione».

Per Spadaro v a evitato un approccio tematico: non sono i temi che fanno la differenza. E spiega: «In un tempo in cui le macchine, grazie all’Intelligenza artificiale, sono in grado di scrivere in modo coerente e anche narrativo, la letteratura oggi è una condizione per restare umani, un modo per bucare la “bolla filtrata” in cui siamo finiti, per recuperare una trascendenza radicale che stiamo perdendo, abbassando sempre di più il nostro orizzonte. Il vero problema oggi è questo: come essere creativi al tempo dell’algoritmo? come fare cultura al tempo dell’omologazione? Se un tempo alla domanda “Chi sono io?” si rispondeva con opere come le Confessioni di Agostino, oggi si risponde con un selfie». Occorre, insomma, recuperare la distanza tra lo spirito e il selfie. Chi da cattolico pratica la critica dovrebbe essere particolarmente sensibile a questa differenza.

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