Essere cittadino comporta disporre di una casa in cui vivere. E il diffondersi di nuove povertà nel contesto della generale crescita della popolazione urbana nel mondo, ha posto il problema, come permettere che tutte le famiglia possano disporre della loro abitazione. Sono nate diverse proposte significative, tra le quali si segnalano quelle elaborate da Alejandro Aravena, che proprio per questo suo impegno è stato designato curatore della Biennale di architettura di Venezia attualmente in corso.
Nel suo Cile, Aravena ha sviluppato progetti di piccole case a schiera modulari, che con contributi pubblici hanno consentito a centinaia di famiglie in diversi insediamenti di abitare una casa di loro proprietà. L’idea di Aravena è semplice: un involucro aperto sulle due facciate, alto due o tre piani e diviso verticalmente in due. Il vuoto dell’involucro è riempito solo per metà, così che sotto il tetto si trovano ambienti abitabili da un lato, e dall’altro uno spazio aperto ma coperto.
Un edificio 'ridotto all’osso' il cui costo di costruzione è minimo (poche migliaia di dollari). Avendo la libertà di poterlo completare una volta che la famiglia raggiunga una condizione economica migliore, o comunque tramite l’autocostruzione.
Dopo aver realizzato diversi insediamenti, ciascuno con decine di abitazioni, Aravena ha posto tre dei suoi progetti online, da cui sono liberamente scaricabili: “open source” come si dice in gergo. Disegni semplici con tetti a cuspide o piani, adattabili a diversi contesti: necessitano solo di essere adattati alle regolamentazioni edilizie vigenti nel luogo specifico. Si tratta di un primo caso in cui un progetto è reso disponibile e usabile da chiunque lo voglia.
Con questa iniziativa di Aravena, già da qualche anno prefigurata da Carlo Ratti nel suo volume Architettura open source, si apre un nuovo universo nel campo delle costruzioni, per case a basso prezzo facilmente diponibili a chiunque: e solo chi desidera un progetto più ampio e peronalizzato se lo farà fare ad hoc. Né è iniziativa solitaria. Da tempo FabCity (fabbrica della città) propone esposizioni in diverse città nel mondo ove si confrontano edifici a basso costo e sostenibili sul piano ambientale.
Come la casa piccola, mobile, autosufficiente studiata da Jurgen van der Ploeg di Faro architects, presentata all’edizione di FabCity in corso ad Am- sterdam ( chiude il 26 giugno). Si chiama TIM ( Timber, Independent, Mobile: cioè di legno, indipendente e mobile). Con gli arredi misurati al millimetro, così che tutti i comfort siano disponibili in poco spazio, dotata di pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica e di sistema di recupero dell’acqua piovana, nonché di ruote. Ma una vera casa, non una roulotte.
Consona con un mondo dove la mobilità è di casa ovunque, anche per le famglie che non possono pemettersi di pagare migliaia di euro per un metro quadrato di spazio abitabile. Per questi edifici a basso costo si va ipotizzando anche l’uso del sistema di stampa in 3D: già c’è un’azienda cinese che propone case di due piani che si confezionano in un giorno. In Europa non se ne vedono sinora, ma è possibile che ci si arrivi.
Se la casa è necesaria per appartenere alla cittadinanza, forse per queste via delle case 'low cost' sarà possibile che in futuro tutti diventino cittadini: di un mondo globalizzato, ma anche capace di accogliere le persone. Le tecnologie ci sarebbero, si tratta di vedere se v’è anche la buona volontà...