Sanremo 1966,
Nessuno mi può giudicare, interprete Caterina Caselli, secondo posto. Sanremo 2001, vince Luce di Elisa, discografica («artigiana, non industriale») Caterina Caselli Sugar. Differenza? Non nel piazzamento, assicura la Signora. E nemmeno nel successo che la gente attribuì a entrambi i brani, aggiungiamo noi. «La differenza non c’è», specifica Caterina Caselli con un sorriso. «Cantare mi entusiasmava e mi entusiasma allo stesso modo veder cantare artisti che stimo. È bello aiutarli. È bello essere qualcosa per qualcuno». Vi capitasse mai di entrare nel regno attuale dell’ex-Casco d’oro, sappiate che non vi troverete pareti. Non perché non vi siano. Perché non si vedono, sommerse dai dischi d’oro e platino ottenuti dalle scommesse vinte della Caselli che «aiuta»: i dischi di Bocelli, Avion Travel, Negramaro e – per l’appunto – Elisa. Milioni di album venduti nel mondo (60 solo Bocelli), cui la Signora può aggiungere, ovvio, quelli venduti in prima persona. «Nessuno mi può giudicare», per dire, è stata in vetta alle hit tre mesi. Questa è la storia di un’artista di sucsco cesso che per scelta si è messa a costruire successi altrui. Fino a combattere battaglie culturali: per il proprio 'artigianato', certo, ma non solo. Meglio, però, andare con ordine.
Riavvolgiamo il nastro: perché lasciò le scene? «La famiglia, si sa. Mi sposai, ebbi un figlio. Però c’era anche qualcosa nel mondo della musica che non mi piaceva: non si programmava nulla, non c’era tempo per migliorarsi. E questo mi pesava moltissimo, come mi pesavano fisicamente le tournée senza sosta».
Il passaggio da artista a industriale ha significato per lei cambiare la passione con un po’ di cinismo? «No, agisco prima dell’industria. Incontro l’artista, partecipo al suo progetto, cerco di capirlo oltre paure e timidezze… E tutto iniziò in fondo nel 1967».
Ovvero? Racconti pure. «Conducevo con Giorgio Gaber Diamoci del tu in Rai. Per l’ultima puntata dissi a Giorgio 'Cono- uno bravo, perché non farlo esibire con uno scelto da te?' Io portai Guccini, lui Battiato. Proposi Guccini pure ai miei discografici: ma aveva la erre moscia… Però già a quei tempi intercettavo cose nuove, volevo che per gli altri si facesse quanto avrei voluto si facesse per me. Poi, è diventato il mio mestiere».
In cui non incide proprio mai il cosiddetto mercato? «Non tradisco mai gli artisti o la loro arte. Semmai la declino nella realtà, trovando soluzioni pratiche ai limiti che essa impone, ma questo è normale».
Come sono gli aspiranti cantanti di oggi? «Io facevo chilometri per le lezioni di canto e un provino era un miraggio. Oggi ci si fa conoscere in fretta, però c’è più competizione e non si può più investire attendendo risultati nel tempo. Direi che sono spesso più preparati ma che spesso manca loro un qualcosa in più: affidabilità, tenacia, umiltà…»
Se dice che non si può più investire nel tempo, lo vede che allora il mercato condiziona anche lei? «Oggi scontiamo i limiti di un mercato digitale che non remunera. Perché un disco non costa solo per la distribuzione. Costano contratti, musicisti, studi, produttori, missaggio… Non è che mettere un brano sul web e non su cd significhi risparmiare tantissimo ».
Lei che soluzione propone? «Si deve rivalutare il lavoro degli autori, va riconosciuto a prescindere dall’opera fatta. È pure una questione culturale: se Bocelli vende nel mondo, tramite lui si conoscono l’Italia, la nostra lingua…».
Perciò lei si batte per il copyright come diritto. «È l’unica. Per dire anche ai giovani che, se mai vorranno vivere di musica pure loro, senza questo diritto – che oggi violano – non potranno farlo ».
Scusi, ma è una battaglia condivisa o solitaria? «Deve diventare collettiva. Come possiamo pensare di fare ancora della musica, o dell’arte, un lavoro se non ne salvaguardiamo e rispettiamo l’essenza?»
E lei è ottimista sul futuro del fare musica? «Guardi, il dato è chiaro: se anni fa la Sugar poteva fare dodici progetti l’anno, oggi ne può fare uno. Ma queste battaglie di cui le ho parlato nascono dalla certezza che si può uscirne: per un circolo virtuoso di guadagni giusti e possibilità di reinvestire».
Ma lei, Signora Caselli, non rimpiange proprio mai i tempi in cui anziché di questi problemi si occupava di scegliere canzoni e farsi applaudire? «Beh, ogni tanto… Ad Amiche per l’Abruzzo a San Siro, vedendo i duetti fra le artiste, ho sentito mancarmi il gusto di giocare con la musica. Non ho rimpianti, però l’ho pensato, guardando Laura Pausini e le altre, che lì avrei potuto esserci anch’io».