Il Casale campione d’Italia nella stagione 1913-1914 - -
Sette giorni prima l’assassinio a Sarajevo dell’arciduca Francesco Ferdinando e di sua moglie Sofia aveva dato il via a una spirale di eventi da cui presto sarebbe scaturito il primo conflitto mondiale. Ma quel 5 luglio del 1914 nulla, neanche le più inquietanti notizie in arrivo da un’Europa che tutta si preparava ormai alle armi, avrebbe potuto scalfire la voglia delle genti del Monferrato di bersi un buon rosso. Il Casale Football Club aveva vinto il suo primo titolo nazionale. In alto i calici per i ragazzi con la maglia nerostellata. In alto i calici per il “professore”, all’anagrafe Raffaele Jaffe. Un austero insegnante dell’istituto tecnico Leardi, il più antico del Paese, che alla vista di un pallone che rotolava, un giorno d’ottobre del 1909 in cui assorto in altri pensieri si sgranchiva le gambe sulle rive del Po, aveva perso letteralmente la testa. Sembrava una febbre passeggera, ma non era così. Un paio di mesi dopo, radunati gli studenti, il professore aveva lanciato la sua sfida: una squadra di calcio, con un vero campo da gioco, una tifoseria, delle ambizioni; e con i suoi ragazzi come protagonisti. Nell’aula, si racconta, l’entusiasmo fu alle stelle. Altre ovazioni si levarono quando Jaffe indicò l’obiettivo: vincere uno scudetto, spodestando quella che era la massima potenza di allora: la Pro Vercelli. Una rivalità antichissima, quella con la città bagnata dal fiume Sesia, nata nel Duecento per effetto di alcuni soprusi che i casalesi non avevano dimenticato. L’occasione della vendetta passava adesso da un po’ di sano agonismo. Bene ricordare che di calcio dilettantistico si tratta e che la virata verso il professionismo sarebbe arrivata diversi anni dopo. Il Casale dovette farsi comunque la sua gavetta, partendo dalle retrovie dei tornei piemontesi. Una prova che poteva scoraggiare chiunque. Ma non i baldanzosi giovani del Leardi che, macinando vittorie, raggiunsero senza troppe difficoltà la prima serie.
Il titolo del 1914, conquistato dopo una lunga rincorsa con tante vittime eccellenti, Pro Vercelli in primis, fece sensazione. Non tanto per l’epilogo piuttosto scontato nella doppia finale allora prevista con una squadra del Centro-Sud, di molte spanne indietro allora nello sviluppo di un proprio movimento in grado di opporsi allo strapotere delle squadre del Nord, quanto per la determinazione mostrata lungo tutto il percorso dai ragazzi di Jaffe. Ragazzi che nel frattempo era diventati molto più di belle speranze: in alcuni casi si erano affermati a tal punto da essere convocati in Nazionale. Come Luigi Barbesino, il capitano, che Vittorio Pozzo fece esordire alle Olimpiadi di Stoccolma del 1912 appena diciottenne. A fare le spese di tanto talento fu la Lazio, travolta in 180 minuti da una valanga di reti: il Casale vinse sia in casa (7-1) che in trasferta (0-2). Il Monferrato, il quotidiano locale, celebrò così il trionfo: «Poiché una parola di lode ai nostri valorosi bisogna pur dirla, sia la nostra la parola più semplice: Hurrà! Questo è il grido della vittoria, il ringraziamento e l’augurio, che ricorda la fatica degnamente spesa nel lungo volgere di tempi cattivi, la grandezza dell’ora presente, la marcia trionfale verso i segni radiosi dell’avvenire». In segno di gratitudine la dirigenza del club concesse agli atleti un piccolo lusso: il ritorno in treno avvenne non in terza, ma in seconda categoria.
La bella favola del Casale sembrava solo agli inizi. Fu invece un canto del cigno. Un’unica straordinaria rappresentazione di cui progressivamente si è eroso il ricordo per le molte peripezie e vicissitudini che sono seguite. Per constatarlo basta andare ai giardini del Priocco, realizzati nell’area dove un tempo sorgeva il campo sportivo in cui il Casale scriveva la sua leggenda e nel 1913 batteva gli inglesi del Reading in amichevole (era la prima volta che una squadra italiana si imponeva su una compagine d’Oltremanica). Si tratta di un modesto spazio verde, seminascosto. Si potrebbe certo fare di più per valorizzarlo. Ci ha pensato l’arte a perpetuare l’impresa degli undici eroi del ’14, con un murale loro dedicato nel centenario. Significativa anche l’iniziativa, promossa allora dall’amministrazione comunale, di far esporre gagliardetti e simboli di quel Casale in tutte le vetrine della città. La nostalgia non può che essere la cifra del calcio casalese di oggi. Il club, da poco ripresosi da un fallimento, milita in Serie D. L’ultima apparizione nel professionismo, in Lega Pro, risale alla stagione 2012-2013. In B non gioca da 73 anni, in A da ben 86.
Ma torniamo a Jaffe. Il professore aveva 61 anni quando nel 1938 lo raggiunsero le leggi razziali promulgate da Mussolini. Nato ebreo, l’anno precedente si era convertito al cattolicesimo. Ma ciò non lo salvò dai provvedimenti fascisti, che ebbero come effetto il suo immediato allontanamento dall’incarico di preside dell’istituto Lanza. Sei anni dopo, nel febbraio del ’44, sarebbe stato catturato da sgherri in camicia nera, rinchiuso per qualche ora in una cella e poi inviato a Fossoli. Da lì, dopo alcuni mesi in cui aveva sperato di poter evitare la morte, sarebbe poi stato deportato ad Auschwitz. E al suo arrivo subito ucciso. Per anni il suo nome è caduto un po’ nel dimenticatoio. La riscoperta da parte delle istituzioni è stata recente, anche grazie al contributo della Comunità ebraica che molto si è spesa in questo senso. Il progetto è di fargli avere in futuro una pietra d’inciampo. Dal gennaio scorso porta intanto il suo nome una porzione dei giardini adiacenti alla stazione ferroviaria. Si riportavano in origine i soli riferimenti anagrafici, il suo ruolo di fondatore del Casale e gli incarichi nel mondo della scuola. Ma non si diceva dove e perché fu assassinato. Qualche ora dopo, segnalata dalla Comunità la grave mancanza, la targa è stata rimossa per la necessaria integrazione.