Muhammad Yunus - Imagoeconomica
Durante l’emozionante cerimonia fluviale d’apertura di Parigi 2024 in mondovisione, il suo profilo e il suo sorriso sono apparsi, con grande risalto: Muhammad Yunus, il celebre «banchiere dei poveri» bengalese insignito del Nobel per la Pace nel 2006, è l’ispiratore dei legami virtuosi fra i Giochi parigini e le sfide civili della transizione sociale ed ecologica. Una scommessa che Yunus porta avanti da anni con passione, come ha spiegato ad Avvenire appena dopo l’atterraggio in Francia, direttamente in provenienza dal Bangladesh. Nel suo sguardo, oltre al consueto ardore civile, pure lampi d’indignazione per le spaventose repressioni in corso nel suo Paese. Ma è felice di tornare in una Parigi olimpica dove ha sviluppato importanti collaborazioni: «La Francia è un Paese leader che può mostrare la strada, in termini di idee e di nuovi percorsi per risolvere i problemi».
Le Olimpiadi possono contribuire ad amplificare l’economia sociale?
«Sì, perché questa economia è ormai pronta a permeare la vita quotidiana nelle imprese, negli affari, nelle scuole, fra i più giovani, i pensionati, insomma tutti. Il solo nodo cruciale è la volontà di metterla davvero in atto. Per fortuna, la gente comincia a intuire che è il momento buono per lanciarsi. Incontro di continuo giovani galvanizzati che entrano in azione, portando nuove idee e rafforzando il movimento».
L’economia civile condivide i valori della Carta Olimpica?
«Assolutamente. Fin dalle origini, le Olimpiadi promuovono l’aspirazione personale a dare il meglio e a puntare in alto. Anche in economia, quanto accade in basso deve poter giungere e ispirare in alto, irradiando l’insieme, come avviene nella carriera di un atleta che diventa un campione».
Lei vuole collegare la base ai vertici dell’economia. Cosa significa?
«Oggi, il mondo converge nella stessa direzione, ma si ritrova nelle mani di un numero sempre minore di persone che detengono le ricchezze. Basta sedersi un attimo e il mondo ci raggiunge. Ma il sistema attuale non è buono, perché svuota la base delle risorse, rendendo i vertici ancor più potenti. Per questo, occorre ridisegnare il sistema in nome di una ridistribuzione al servizio di tutti. Per farlo, il miglior modo che conosco è integrare nel sistema l’economia sociale. Dandole più forza. Come atleti ben allenati, questi nuovi imprenditori cresceranno fino a diventare campioni».
Un esempio concreto?
«La lotta alla disoccupazione. Non ci sono ragioni fondate per avere disoccupati. Ciò che manca è la capacità di finanziamento. La finanza è l’ossigeno degli imprenditori. Ricevendo denaro, chiunque può lanciare un’impresa. La differenza fra me e le persone più ricche del mondo sta nel fatto che le banche non mi danno denaro. Per questo, dico semplicemente: apriamo le porte a tutti, come nello sport. Un aspirante imprenditore non chiede soldi in modo indefinito, ma solo quanto basta per lanciarsi. Non è un dono, ma un investimento. Finora, questo denaro non giunge dalle principali istituzioni finanziarie. Per questo, dobbiamo cambiarle, come ho fatto con altri concependo il microcredito. Ad esempio, è un modo per finanziare le donne povere del Bangladesh, divenute così imprenditrici».
Lei ha partecipato a The Economy of Francesco. La spiritualità conta in questa transizione?
«Sì, è importante dappertutto, perché occorre adottare una prospettiva ispirata da valori più alti: entrare negli affari, innanzitutto, non per fare soldi, ma per risolvere dei problemi. Possiamo riuscirci. Occorre recarsi sempre in basso, risolvere i problemi e permettere alle energie in basso, davvero illimitate, di esprimersi».
Sul legame fra sport ed economia civile, ha un sogno?
«Che lo sport giunga dappertutto, nei Paesi poveri come in quelli ricchi. Nelle famiglie povere come in quelle ricche. Perché lo sport è capace di aprire le menti e d’infondere il gusto di lanciarsi in un’impresa sociale. Lo sport suggerisce l’idea che raggiungere un obiettivo è sempre possibile. In effetti, nessuno dovrebbe pensare che l’iniziativa economica spetta solo ai governi. Grazie allo sport, chiunque può dirsi: posso farcela, posso cambiare il mondo».
Quale eredità spera per questi Giochi?
«Riuscire a mostrare di poter aprire nuovi orizzonti, soprattutto ai giovani che praticano o potrebbero praticare lo sport. Dare ai giovani il gusto di fare qualcosa di nuovo e diverso per cambiare il mondo. Personalmente, sono un ottimista compulsivo. Non abbandono mai».
Le Olimpiadi promuovono la pace. L’economia civile può affiancarle in questo?
«Certo. La pace significa essere felici accanto alla vita umana. Poter fare ciò che abbiamo intimamente voglia di fare. Se vieni da me e poi richiudi di nuovo la porta, non sarò felice, poiché non mi autorizzi a fare quanto vorrei. Ecco la nuova sfida dell’economia: aprire le porte a tutti. E se posso realizzare ciò a cui aspiro, allora troverò la pace. Non avrò più ragioni di partecipare a mia volta all’accaparramento delle risorse. Inoltre, diventerò capace di proteggermi dagli accaparratori: un punto fondamentale».
Gli atleti a Parigi possono dunque servire da modelli agli imprenditori del cambiamento?
«Sì, enormemente. Questi atleti sono creativi, competitivi, concentrati e sanno come raggiungere i loro obiettivi. Mantenendo anche uno spirito critico, stanno già cambiando il mondo. Come in una staffetta sportiva, gli imprenditori giungono con un’idea per trovare un partner pronto a investire in quest’idea. Il segreto è riuscire a lavorare assieme. Un’idea semplice, un partenariato».