Quattro miliardi tra cartoline e lettere: tante – ma la stima è quasi certamente arrotondata per difetto – ne hanno spedite gli italiani nel corso della prima guerra mondiale. Oltre centomila le cartoline prodotte in quel periodo legate direttamente o indirettamente al conflitto. Prima di tutto quelle rivolte ai combattenti, per rafforzarne lo spirito e le motivazioni, con appelli all’eroismo e l’esaltazione del sacrificio in onore della Patria. Sui cartoncini si sprecano le figure dei martiri come Cesare Battisti e Damiano Chiesa, i ritratti dei comandanti da Cadorna a Diaz, le rassegne con i corpi d’armata e le uniformi: Italie prosperose e determinate, aquile e bandiere al vento vengono declinate infinitamente, una sovrabbondanza di allegorie mette in scena la forza e il diritto patrio mentre le terre irredente hanno l’aspetto meschino di chi è costretto in catene. Ridicolo, infingardo, vigliacco e addirittura geneticamente tarato è il nemico, con rappresentazioni che diventano sempre più crude e spietate man mano che il conflitto si radicalizza. Sia in queste cartoline sia in quelle dell’alto ampio filone dedicato al “fronte interno” – con appelli al sacrificio, al risparmio, al produrre meglio e di più, alla raccolta di fondi per il sostentamento degli orfani o l’assistenza ai prigionieri di guerra – entra spesso in scena l’infanzia. Un medium perfetto per trasmettere il messaggio che interessa alla propaganda: «Mostrare i bambini che combattono in armi, che infilzano il nemico o lo prendono a calci, lo trascinano per le orecchie agisce in due direzioni. Da un lato sdrammattizza, rende comune e quotidiana la guerra, dall’altro ne fa una cosa virtuosa e al tempo stesso ingenua»: l’ultima fatica letteraria di Walter Fochesato – tra i maggiori studiosi italiani di letteratura per l’infanzia e di illustrazione, e appassionato collezionista – è dedicata a
Il gioco della guerra. L’infanzia nelle cartoline del primo conflitto mondiale (Interlinea, pagine 160, euro 18,00). Sbaglierebbe, però, chi pensasse che i bambini ci si limitasse a rappresentarli nelle pose e nelle situazioni belliche più varie: «In realtà, in quegli anni, l’infanzia diventa destinataria di messaggi molto articolati tesi a ottenerne il consenso e la mobilitazione. Un’attenzione che è anche e soprattutto un investimento per il futuro. Si instilla l’idea della guerra, nella speranza – spiega Fochesato – che diventi una possibilità presa in considerazione, un’aspirazione ». Perché se è vero che le cartoline venivano spedite prevalentemente da un pubblico adulto è vero anche che, proprio per il tipo di disegno, finivano nelle mani di bambini e ragazzini e contribuivano a formarne l’immaginario. «Alcune, in bianco e nero, invitavano i bambini a completarle con i colori. La guerra – prosegue l’autore – entra nei loro giochi, diventa il loro passatempo. Banalizzata, trasformata in qualcosa di normale, quotidiano. Divertente, persino. Le scene sono convincenti, anche perché la stragrande maggioranza dei disegnatori aderiva con convinzione al messaggio che contribuiva a trasmettere». In “Prigioniero di guerra” (1916) un’emblematica cartolina realizzata da Attilio Mussino, il fratellino minore impaurito e piangente interpreta la parte del prigioniero austriaco, trascinato via legato come un salame da due baldanzosi ragazzetti, armati di tutto punto. «L’arditismo, in pratica, fa il suo ingresso nella nursery, preludio di pulsioni squadristiche che si dispiegheranno pienamente da lì a pochi anni» spiega Fochesato. Che prosegue: «Esemplare, sempre di Mussino, l’immagine che riassume mirabilmente la funzione assegnata alle bambine e alle donne. “Dama sbrigati!”, ordina il guerriero imberbe e la ragazzina, forse la sorellina, esegue. Le bambine o vengono rappresentate come crocerossine oppure vicino alla mamma, mentre si danno da fare con i ferri, intente a confezionare calzettoni per i soldati». Guerra vuol dire orfani e, quindi, l’ennesima e consistente categoria di cartoline, la cui vendita serviva a finanziare gli aiuti: nell’immagine disegnata da Maria Vinca (1918), i bambini hanno il volto rigato di lacrime, un clima di lutto e angoscia amplificato dal riquadro con il testo che ricorda una lapide cimiteriale. I ragazzetti baldanzosi e guerrafondai sono ormai solo un ricordo.