Italia, terra di santi, poeti e cantori. Nella nostra penisola i cori amatoriali ma con vita semiprofessionale sono ormai un piccolo esercito. La Feniarco, la federazione che riunisce tutte le associazioni regionali corali e che cura lo sviluppo della pratica della coralità in Italia, ne raggruppa 2338. Vale a dire settantamila coristi – ma le persone coinvolte nelle attività arrivano a centocinquantamila. Una cifra che rappresenta solo la punta di un iceberg se a questi aggiungiamo la sconfinata e multiforme realtà dei cori parrocchiali, il cui numero è talmente elevato da rendere difficile un censimento attendibile. In una nazione dove storicamente l’educazione musicale è sempre stata la cenerentola, i cori sono spesso i soli luoghi a fornire l’abc delle note. L’Italia che canta però non si distribuisce in maniera uniforme su tutto il territorio. «La presenza di cori è più densa nel nord – spiega il maestro Sante Fornasier, presidente di Feniarco – anche per una tradizione antica, che nasce dalla consuetudine corale del canto popolare. Alcune regioni del Nordest, per secoli vissute a stretto contatto con la Mitteleuropa, godono di una cultura musicale diffusa e praticata, la cosiddetta hausmusik, che si riflette nella prassi corale». La regione italiana con più cori è la Lombardia con 368 gruppi, il 15% di tutto il territorio nazionale, tallonata dal Veneto con 324 (quasi il 14%). Al terzo posto il Friuli Venezia Giulia con 299 (il 13%), ma con una densità di cori per abitante dieci volte maggiore. Un rapporto che cresce con il Trentino, che si piazza ai piedi del podio con 156 ensemble. A conti fatti in Italia settentrionale si attesta il 68% dei cori. Ma le cose stanno cambiando anche al Sud: «Qui la vocalità ha sempre avuto uno stampo solistico – prosegue Fornasier – ma il panorama si sta muovendo con cori che dal repertorio classico arricchiscono la propria esperienza attingendo al patrimonio popolare». Perché i cori amatoriali sono stati e sono i custodi di un patrimonio in costante pericolo: «È il caso della polifonia rinascimentale, oggi così diffusa presso gli ensemble professionisti e fino a poco tempo fa praticata solo dalle corali amatoriali e dalle scholae cantorum. Dagli anni 70 inoltre i gruppi di musica popolare si sono presi carico di una ricerca etnomusicologica che ha salvaguardato un repertorio altrimenti a rischio». Un movimento quello della coralità italica in costante progresso: «In questi anni la realtà italiana si è avvicinata a livello organizzativo e anche qualitativo all’Europa ». Dove cantare in un coro è quasi un’abitudine. Risultati che hanno consentito l’assegnazione a Torino dell’edizione 2012 di Europa Cantat: è la prima volta che il grande festival triennale, a cui partecipano 4000 coristi da tutto il continente, avrà luogo in Italia. La Feniarco raggruppa formazioni amatoriali dotate di una struttura associativa. Non può quindi contemplare né i cori parrocchiali né i cori scolastici. «Questo non vuol dire che a noi non interessino – prosegue Fornasier –. La nostra non è un’organizzazione corporativa. Il nostro scopo è valorizzare la coralità italiana a tutti i livelli, in un’ottica di sistema». Ed è proprio nella scuola dove si assiste a risultati sorprendenti. «Una recente ricerca del Comitato per la promozione della pratica musicale del ministero dell’Istruzione ha riscontrato che negli istituti scolastici, nonostante la scarsità delle risorse, ci sono più di 2000 gruppi. Un numero sopra ogni aspettativa, dovuto alla buona volontà dei singoli insegnanti e presidi. Nel Festival di primavera che abbiamo tenuto lo scorso aprile a Montecatini hanno partecipato 25 cori scolastici con 800 coristi, dalle elementari alle superiori. Significa, e ne siamo felici, che si sta diffondendo l’importanza della pratica corale dal punto di vista educativo. I cori costituiscono infatti un’esperienza di base di primaria importanza, un’anima di cui il nostro Paese ha un grande bisogno».