venerdì 13 maggio 2011
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Adolescenze tragiche e inquiete, destinate a gesti estremi, violenti, oppure venate di romanticismo, intrise di tenerezza, aperte a un piccolo raggio di speranza. Amore e morte hanno occupato ieri gli schermi del Festival di Cannes, declinati in maniera diversa da Lynne Ramsay, in competizione con We Need to Talk About Kevin, e Restless di Gus Van Sant, che ha aperto la sezione Un certain regard.Nel primo Tilda Swinton, già papabile per una Palma all’interpretazione, è la madre di un ragazzo che ha compiuto una di quelle stragi scolastiche di cui ci parla soprattutto la cronaca americana. Un giorno come tanti altri un sedicenne va a scuola e la vita di molte persone cambia per sempre. Compresa naturalmente quella dei genitori del «mostro».Il film, cromaticamente dominato dal rosso, è molto efficace nel costruire una forte tensione alternando piani temporali diversi e mostrando l’angoscia di una donna distrutta dal senso di colpa e inevitabilmente condannata dal resto della comunità. È interessante la scelta di mostrare la tragedia con gli occhi della madre del carnefice. Più discutibile è considerare quella tragedia ineluttabile perché quel ragazzo non avrebbe ricevuto sufficiente affetto e calore dalla madre, con cui è stato in guerra già da piccolissimo. Una tesi un po’ forzata. «Il film pone solo domande, non possiede risposte – dichiara la Ramsay – e le famiglie sono molto più complicate di quanto non sembrino in superficie».Gus Van Sant, dopo Elephant, col quale qui a Cannes vinse la Palma d’Oro, ci offre questa volta l’immagine di una giovinezza più dolce, morbida, intaccata dal dolore, ma decisamente più aperta agli affetti. In Restless, prodotto da Ron Howard e dalla figlia Bryce Dallas, il regista americano che continua ad aggiungere capitoli al suo romanzo sui lati oscuri dell’adolescenza, dirige con più leggerezza del solito Mia Wasikowska (l’Alice di Tim Burton) ed Henry Hopper (figlio di Dennis, icona del cinema indipendente americano) in una storia d’amore fuori dai canoni. Lei è una malata terminale di cancro, lui ha il pallino dei funerali, parla con il fantasma di un kamikaze giapponese e soffre ancora per la morte dei genitori (in un incidente stradale) ai quali non ha neppure detto addio perché durante il funerale lottava tra la vita e la morte. Trovato un terreno comune, i due outsider decidono di elaborare lutti passati e futuri trascorrendo insieme gli ultimi tre mesi che separano Annabel dalla morte. Entrambi scopriranno in poche settimane il valore della vita e dei sentimenti, imparando a non temere quell’ultimo, misterioso viaggio. Come a dire che quando l’esistenza è ricca di amore, non sono necessarie nemmeno le parole per commemorare i propri cari a un funerale: basta un semplice sorriso, radioso e sorpreso nel trovare tanta pace in fondo al cuore.«È vero – dice Van sant – i miei due personaggi, nonostante tutto, cercano di guardare avanti in maniera positiva».
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