giovedì 4 aprile 2013
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Il mercato collezionistico del Ventennio ha conosciuto un vero e proprio boom, in Italia, negli ultimi decenni. Lo sdoganamento della destra al governo, la storicizzazione del fascismo e delle sue figure anche attraverso i format televisivi di più largo consumo, la crescita del filone revisionistico anche nella trattazione divulgativa, in una parola, l’uscita dai ghetti del popolo di destra e del suo patrimonio ereditario, hanno contribuito anche ad alimentare un vero e proprio fenomeno che non è riducibile sic et simpliciter a feticismo di nostalgici. Ha cioè preso corpo un vasto collezionismo centrato sull’oggettistica del periodo fascista, dalla cosiddetta "militaria" (armi, uniformi, medaglie, fregi, distintivi), al settore cartaceo (libri, giornali, manifesti, fotografie e quant’altro). Basta aprire le pagine di ebay, per accorgersi della massa di oggetti che viene quotidianamente scambiata. Si va dal ragazzino che acquista il portachiavi con il fascio littorio, o altri gadget, all’amatore di palato fine che si contende accanitamente, nelle aste su Internet, il pezzo pregiato e costoso. I collezionisti raffinati in Italia sono molti e, dietro di loro, gratta gratta, si nasconde quasi sempre un estimatore del Duce e del suo governo. I veri intenditori, che sono anche degli studiosi attenti al valore culturale degli oggetti su cui investono, amano distinguersi da quelli che i collezionisti di rango chiamano "raccoglioni" (con evidente assonanza): ossia i meri accumulatori di materiali, che agiscono senza strategia, e soprattutto sono privi di un sostrato culturale in grado di tematizzare e problematizzare il proprio collezionato. Chi scrive, per il lavoro che svolge, viene continuamente a contatto con collezionisti che sono pronti a spartire le proprie conoscenze.
Vi sono invece segmenti di amatori che tengono gelosamente nascosto il patrimonio posseduto. Mi è capitato, ad esempio, di imbattermi nelle tracce di un privato, che abita in Trentino Alto Adige, il quale detiene molti acquerelli firmati da Adolf Hitler. Costui non ha accettato neppure di ricevere una mia telefonata, nel timore che il suo segreto potesse essere violato. Capita anche questo. In verità, si percepisce in chi colleziona materiale storico del periodo fascista, e ancor più in chi frequenta l’oggettistica del Terzo Reich, una sorta di autoreferenzialità: come a dire, noi siamo i custodi della verità su un certo periodo storico, di cui ci ergiamo a ultimi testimoni, in virtù di quanto possediamo e ci appartiene. Insomma, i depositari del segreto del Santo Graal. Parafrasando la famosa frase di Marshall McLuhan, si potrebbe dire qui che l’oggetto è il messaggio. Gli oggetti appartenuti ai personaggi più importanti del regime sono in testa ai desideri dei collezionisti. Alcuni anni fa, sono stati venduti i memorabilia di Carlo Scorza, l’ultimo segretario del Partito nazionale fascista: dalle uniformi, alle medaglie, ai distintivi, alle tessere, alle foto. E nelle ultime aste del Centro del Collezionismo di Trieste, sono state battuti molti autografi di un altro segretario del Pnf, il bresciano Augusto Turati. Di recente, mi è capitato di vedere, nel salone della villa di un commerciante lombardo, il pianoforte Blüthner originale che Claretta Petacci suonava nella sua villa della Camilluccia, a Roma. Acquistato presso un mediatore, circa quindici anni fa, per la ragionevole somma di dieci milioni di vecchie lire. Il collezionista possiede anche altre memorie petacciane: un paio di quadri dipinti dalla Favorita del Duce, comperati a seicentomila lire l’uno, un tavolinetto e tre appliques della Camilluccia, e le planimetrie originali della villa.
Mussolini, per i collezionisti del Ventennio, è una Superstar. Un suo autografo non vale meno d’un centinaio di euro, una sua foto con dedica almeno trecento. Per accaparrarsi un oggetto a lui appartenuto, taluni amatori sono disposti a fare follie. Alcuni anni fa, la giacca di comandante in capo della Milizia che il Duce indossò con i gradi di primo caporale d’onore negli anni del regime, è stata venduta per centomila euro. Una cifra iperbolica, che si può almeno parzialmente spiegare col fatto che quel cimelio è, per eccellenza, l’oggetto-simbolo che riassume la figura storica del capo del fascismo. Ma non è tutto oro quel che riluce. Nel settembre 2011, un vecchio borsone contenente gli abiti di ricambio che il Duce e Claretta portarono con sé, nel loro estremo viaggio terminato a Dongo, è stato battuto all’asta, dalla Heritage Auctions di Dallas (Texas), per la non astronomica cifra di 6.350 dollari. Due gli indumenti che nella valigia erano stati riposti: un’uniforme grigia di Mussolini e un vestito di lana color ruggine della Petacci. Per restare in America, la casa Wolfe-Hardin, specializzata in oggettistica del Terzo Reich, e con clientela internazionale, propone nel suo sito Internet il fez di caporale d’onore appartenuto a Mussolini. I prezzi sono riservati, ma gli oggetti pubblicizzati sono addirittura stupefacenti: ci sono, tra gli altri, uniformi originali di Goering e di Hitler e una spada di Himmler.
La caccia alle spoglie ducesche raggiunge non di rado l’accanimento. Uno studioso di Novara, Giorgio Milani, anni fa ha acquistato da Romano Mussolini, ultimogenito del dittatore, il primo violino posseduto dal Duce. «Come lei sa – spiega l’attuale detentore – Mussolini era un cultore di musica. Con questo strumento, si recò da un insegnante romagnolo di violino, Archimede Montanelli, per prendere lezioni. Per prima cosa, Montanelli rilevò che si trattava di un pezzo fuori misura, probabilmente realizzato in Germania da liutai italiani». Milani possiede anche un altro cimelio mussoliniano: il letto arrugginito sul quale per qualche ora si coricò il dittatore, già tratto in arresto, la notte tra il 27 e il 28 aprile 1945, nella casermetta della Guardia di Finanza di Germasino, località sul lago di Como situata sopra Dongo. Acquistato per 500 euro dal rottamaio che aveva sgomberato la caserma dismessa. Il collezionismo cartaceo, diversamente dall’oggettistica, pare subire una qualche flessione. A un’asta, tenutasi lo scorso giugno alla sede romana di Bloomsbury’s, una lettera autografa di Mussolini del 1921, è stata battuta al modico prezzo di 325 euro. Non diverso il risultato di un lotto di cimeli del Ventennio (due lettere, due foto con dedica e una cartolina di Mussolini, più altri autografi di personaggi come Starace, Bottai, Costanzo Ciano e Federzoni), aggiudicato in blocco per 3.125 euro. Un raffronto con altri risultati d’asta, sta a dimostrare che il periodo fascista non ha ancora raggiunto le sue massime potenzialità commerciali, almeno per quel che riguarda la scriptofilia: sempre da Bloomsbury’s, singoli autografi di Gabriele D’Annunzio, infatti, sono stati venduti a prezzi variabili tra i 400 e i 4.000 euro.  
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