domenica 13 ottobre 2024
Esce oggi in Italia il film di produzione americana diretto da Alejandro Monteverde. Ma l’opera missionaria della protettrice dei migranti a New York è raccontata senza lo slancio della fede
Santa Francesca Romana Cabrini interpretata da Cristiana Dell'Anna

Santa Francesca Romana Cabrini interpretata da Cristiana Dell'Anna - Web

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A poco più di due mesi dalla memoria liturgica (che ricorre il 22 dicembre), esce nelle sale italiane Francesca Cabrini, film dedicato alla prima cittadina americana proclamata santa che, dal 1950, è la patrona dei migranti. L’appuntamento è per oggi; l’uscita nel nostro Paese avviene dopo quella negli Stati Uniti che, con circa 20 milioni di dollari nel solo Nord America, ha regalato al film la quarta posizione al Box Office.

Distribuito da Dominus Production e diretto da Alejandro Monteverde, Francesca Cabrini è interpretato da Cristiana Dell’Anna (che presta il volto alla santa), Giancarlo Giannini (papa Leone XIII), Romana Maggiora Vergano (Vittoria) e Federico Ielapi (Paolo). Nel cast c’è anche la giovanissima Virginia Bocelli che, insieme al padre Andrea, canta anche la canzone originale del film Dare to be.

Francesca Cabrini ripercorre (a suo modo) la vita della suora che, prima donna a capo di una missione oltreoceano, grazie alla tenacia, al lavoro e, soprattutto, a una fede incrollabile (di cui nel film non c’è purtroppo quasi traccia), riuscì a fondare ben 67 istituti tra scuole, ospedali e orfanotrofi in tutto il mondo. Un’impresa niente affatto facile che incontrò spesso ostacoli apparentemente insormontabili fin dall’inizio, da quando la giovane Francesca, a causa della salute cagionevole, si vide respingere la domanda di ammissione dalle Figlie del Sacro Cuore. È in questo primo “incidente di percorso” che probabilmente affondano le radici della sua forza nell’affrontare e reagire alle avversità. La giovane, infatti, non si lasciò scoraggiare e cominciò a collaborare con la “Casa della Provvidenza” di Codogno. Qui prese i voti, aggiungendo Saverio al suo nome, in onore del santo gesuita Francesco Saverio, patrono delle Missioni. Perché questo voleva Francesca: fare la missionaria in Cina. E voleva farlo con le sette giovani donne con cui, nel 1880, aveva fondato l’Istituto delle Suore Missionarie del Sacro Cuore. Il progetto di Dio per lei, però, era un altro e si manifestò nei due incontri che ebbe prima con il vescovo Giovanni Battista Scalabrini e, poi, con papa Leone XIII il quale le disse: «Non a Oriente ma all’Occidente». Madre Cabrini e le sue consorelle si ritrovarono così a New York, dove scoprirono le terribili e disumane condizioni i cui vivevano i migranti italiani nei bassifondi della città, le cui strade erano popolate dai numerosi orfani, considerati poco più che carne da macello. Ostacolata dall’arcivescovo locale e dalle istituzioni cittadine, Francesca riuscì comunque a portare a termine la sua impresa a New York: il coraggio e la ferrea volontà di non permettere ad alcuno di interferire con i suoi progetti apostolici ed educativi le consentirono di superare gli ostacoli, politici, culturali ed economici, di aprire nuovi orizzonti di senso e di accendere la speranza. Non solo: ben presto ricevette richieste di aprire scuole da ogni parte del mondo. Viaggiò così in Europa, Centro e Sud America, impegnandosi soprattutto perché l’amore del Cuore di Gesù arrivasse a tutti, specialmente ai più emarginati di quel tempo. E senza dimenticare mai che, per realizzare la sua missione, non bastavano il lavoro e il sacrificio ma occorrevano soprattutto la preghiera, l’adorazione e l’unione costante con Dio.

Di questa fede profonda, dicevamo, nel film non c’è volutamente quasi traccia: «Era tempo che volevo fare un film su Francesca Cabrini. Ma non un film su una santa, piuttosto un film “alla Gandhi”» spiega il produttore americano J. Eustace Wolfington che curiosamente (forse per strizzare l’occhio al pubblico americano) non ha voluto dare un taglio religioso al film: «Ho conosciuto Francesca Cabrini quando avevo 23 anni. Era una persona speciale, una donna coraggiosa, di grande valore, che era “anche” suora». L’impostazione di Wolfington è pienamente condivisa da Cristiana Dell’Anna che ne loda il femminismo ante litteram: «La Cabrini si è trovata a lavorare all’interno di una gerarchia (la Chiesa, ndr) di cui doveva conoscere le regole per capire come utilizzarle. Lei è stata la prima donna a fondare un ordine religioso e il suo essere donna era quello più importante per me per distruggere un pregiudizio che gli uomini e purtroppo anche molte donne hanno». Pregiudizio espresso nel film in un dialogo tra Francesca Cabrini e il sindaco di New York: «Peccato che lei sia una donna, sarebbe stata un grande uomo» le dice lui; «No, un uomo non potrebbe fare quello che facciamo noi» risponde lei. L’attrice aggiunge: «Fin da bambina lei sognava la liberà di poter scegliere. Lo ha fatto attraverso il suo lavoro di missionaria ma non voleva essere comandata da nessuno. Come altre donne del suo tempo ha cambiato la storia, pur restando in un’organizzazione maschilista». A recuperare un pizzico di spiritualità pensa Giancarlo Giannini: «Questo film è importante perché riguarda l’anima di una donna straordinaria che, pur con una salute precaria, ha portato avanti la sua idea. E Leone XIII è colui che ha intuito la forza spirituale di questa donna».

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