Brunetto Salvarani - archivio
Impossibile ma nondimeno necessario. L’immagine, quasi un paradosso, usata dal filosofo francese Dan Arbib, fotografa perfettamente il cammino del dialogo cristiano-ebraico. Un itinerario da sempre ostacolato da pregiudizi, paure, incomprensioni, oggi riproposti con forza dai nuovi, foschi, scenari provocati dall’agguato terroristico di Hamas contro Israele il 7 ottobre 2023 cui è seguita la durissima reazione armata dello Stato ebraico. Nessun dubbio, infatti, che l’escalation della crisi mediorientale abbia avuto ripercussioni nei rapporti tra le fedi. Ma proprio questa consapevolezza anziché suggerire una resa all’odio e all’indifferenza, deve spingere i credenti a cercare con ancora maggiore impegno i motivi perché il percorso di incontro non si fermi. Va in questa direzione il nuovo libro (in uscita l’11 ottobre) di Brunetto Salvarani, docente di missiologia e teologia del dialogo interreligioso presso la Facoltà teologica dell’Emilia Romagna di Bologna e gli Istituti di Scienze religiose di Modena, Bologna e Rimini. Un percorso difficile anche per Dio. Sul futuro del dialogo cristiano-ebraico (Effatà, pagine 176, euro 18,00) ripercorre la lunga storia delle relazioni tra cristiani ed ebrei, soffermandosi su alcuni passaggi chiave e prospettando, anche alla luce di vecchie e nuove “pietre d’inciampo”, quale possa essere il domani di questi rapporti. «Come ogni libro – spiega Salvarani –, nasce da una passione, che viene da lontano. È lunga, ormai, la lista di maestri e maestre che hanno contribuito a maturare in me l’idea che il dialogo fra ebrei e cristiani risiede al cuore dell’identità delle Chiese e dei cristiani. Ora, è evidente che dal 7 ottobre 2023, data della mattanza di ebrei in Israele da parte di Hamas, i processi dialogici fra ebrei e cristiani si sono ulteriormente complicati, messi duramente alla prova, come mai finora, mostrando tutte le loro gracilità e vulnerabilità». Nulla sarà come prima, osservano in tanti. «In una manciata di ore è cambiato radicalmente lo scenario in cui si muove chi opera nel campo delle relazioni cristiano-ebraiche, tanto da richiedere un autentico salto di qualità rispetto al passato, a sessant’anni dalla dichiarazione conciliare Nostra aetate, ma senza buttare via il grande lavoro fatto sinora. Ecco dunque la motivazione di queste pagine: rilanciare, in un momento delicato, le ragioni e la necessità di questo dialogo».
Parlando all’Università Cattolica di Roma, il patriarca latino di Gerusalemme, Pizzaballa, ha detto che sono stati spazzati via anni di dialogo. Anche secondo lei è così?
«Non credo siano stati spazzati via ma messi alla prova, come in un crogiolo. Le conquiste fatte, le visite dei papi in sinagoga, l’impegno di base per estirpare i pregiudizi antiebraici o per favorire la comprensione di cosa significhi davvero l’ebraicità di Gesù, gli studi e i colloqui non possono essere annullati, fortunatamente. Anzi, da parte mia sostengo che dalla crepa venutasi a creare - di cui esistono parecchi indizi - potrà filtrare una luce inedita, se chi ne è coinvolto troverà la forza di mettersi in gioco. E di inchinarsi di fronte al dolore dell’altro, onorando l’autorità delle vittime e dei sofferenti: di tutti, non solo di quelli dalla nostra parte. In altri termini: si capirà chi davvero crede in questo dialogo, chi davvero ha intenzione di mettersi in gioco. Sapendo che potranno esserci anche dei prezzi da pagare: una riflessione che propongo in primo luogo alla mia Chiesa».
Il libro va alla radice del dialogo cristiano-ebraico, per ribadire la necessità di questo percorso, invitando a guardare con coraggio al futuro.
«I segni di speranza non mancano. Notevoli sono stati gli effetti di Nostra aetate, documento a un tempo modesto e profondamente innovatore, come si disse allora, nonostante gli aspetti che, negli auspici dei padri conciliari più sensibili, apparvero già all’epoca ancora ambigui, sfuocati o disattesi. Bisogna peraltro ammettere che, volendo stilarne un reale bilancio, un sessantennio è uno spazio di tempo ampio ma anche limitato, e ancora insufficiente a estirpare dalla teologia e dalla mentalità cattolica diffusa i normali e radicati atteggiamenti di antigiudaismo e chiusura identitaria, soprattutto se riandiamo a quale fosse prima del Vaticano II lo standard dei rapporti fra ebrei e cristiani».
Un processo in progress, lo si potrebbe definire.
«Sì, e tanta strada si dovrà fare ancora, ma sarebbe ingeneroso negare che, per la prima volta nella storia della Chiesa cattolica, un tratto di cammino è stato percorso. Penso sia stato il tratto più arduo, perché compiuto dopo quasi due millenni di assolute incomprensioni, di teologia sostituzionista (la Chiesa rilettasi vero Israele contro il falso Israele storico!), di clamorose discriminazioni e persino, com’è noto, di aperte persecuzioni. Con uno slogan: dobbiamo ripartire da Nostra aetate, per andare oltre Nostra aetate!».