Pur nella sua geometria regolare, la cappella appare molto particolare...
«È un segno di presenza umana: l’edificio che si accosta e completa la natura. Come potevano essere le torri di guardia che si erigevano in passato. Questa cappella stabilisce un dialogo organico col paesaggio. Quando vi si arriva, salendo dalla valle, si notano già da lontano le sfaccettature regolari rivestite in acciaio corten, dal colorito scuro, simile a quello delle rocce: ma si vedono solo due o tre lati. Vi si entra salendo una scala e, quando si giunge con gli occhi all’altezza del pavimento, si scoprono tutte assieme le dodici facce del dodecaedro, rivestite di tavole di acero chiaro disposte oblique rispetto ai lati, così da far risaltare gli spigoli e, attraverso questi, l’articolazione dello spazio. Le superfici esterne scure danno il senso del raccogliersi compatto; la luminosità interna invece dilata lo spazio in un respiro di chiarore: tanto quelle appaiono fredde, quanto questa si presenta calda e accogliente. La luce si diffonde da un’apertura superiore e basta fermarsi una decina di minuti per apprezzarne lo scorrere sulle pareti a seguito del variare della posizione del sole».
E sulla parete vicina all’altare c’è un’incisione a croce e l’immagine di un santo...
«La cappella è dedicata a Engelbert Kolland, giovane francescano che, nativo di questa diocesi (di Salisburgo) fu martirizzato a Damasco nel 1860. La sua immagine è anch’essa semplice, essenziale, come tutto in questa cappella».
La forma geometrica pura è tipica del suo modo di progettare...
«Certo, attraverso la geometria riscopro l’essenza dell’edificare. La forma semplice e pura è immediatamente riconoscibile e apprezzabile nella sua interezza. Mi spiego: chi guarda un cilindro, vede solo una porzione della sua superficie. Ma sa subito immaginare anche la parte non visibile di quell’oggetto, perché già lo conosce. Così avviene per tutti i solidi regolari, perché la persona si trova di fronte a forme che le sono consuete, familiari. E questo è un valore importante per l’architettura, in particolare per quella dei luoghi di culto. Si pensi per esempio all’abside e alla facilità con cui viene riconosciuta, intesa come un luogo che accoglie, compresa come elemento che orienta. Ricordo l’osservazione di Martin Heidegger, riguardo al fatto che 'si abita' un ambiente, in quanto ci si può orientare in esso. Di contro si pensi a come ci si può sentire disorientati da un ambiente labirintico come quello di un supermercato, o di fronte ad architetture stranianti, irregolari, caotiche come quelle che presenta a volte il bailamme di linguaggi progettuali contemporanei. Ecco che, in tale contesto, tanto più la forma geometrica risulta importante per la progettazione di un luogo sacro, e aiuta a riscoprire gli elementi fondanti dell’architettura: il muro che separa, la porta che dà accesso, la soglia che segna il passaggio, la percezione della gravità, della luce, dell’orientamento. Questi aspetti rimandano al significato più profondo dello spazio costruito».
Lei ha realizzato molti edifici per il culto, in Italia e all’estero. Forse anche perché le forme geometriche semplici che usa acquisiscono il valore del simbolo?
«Più che di simbolo parlerei di segno di stabilità. Pur nel trascorrere del tempo e nel succedersi delle sensibilità culturali, le forme geometriche pure mantengono costante il loro si- gnificato, così come lo spazio sacro mantiene costante il valore dei loghi di cui si compone. Si pensi, ancora, al significato della soglia, che costituisce il luogo che separa – ma allo stesso tempo unisce – il microcosmo dell’ambiente sacrale e il macrocosmo dell’universo. O all’importanza dell’orientamento che, nel contesto urbano perde un poco la sua ragion d’essere, ma mantiene forte il suo valore teologico nello spazio della chiesa. Desidero sottolineare questo, che il sacro appartiene a tutti noi, in quanto appartiene nella sua essenza al fatto architettonico, di cui costituisce il motivo primordiale. E da venti secoli lo spazio della chiesa si mantiene costante nei suoi elementi costitutivi, come ambiente pregnante nella sua essenzialità. Appartiene a una dimensione diversa da quella delle 'macchine teatrali' che inscenano ambizioni e affanni della commedia, o della tragedia umana di ogni giorno».