Se le vendite del cd continuano la loro picchiata sui mercati di tutto il mondo, la musica dal vivo è sempre più in attivo (e questo continua a spingere le major del disco ad investire budget sempre più consistenti nelle agenzie di spettacolo). Ma le ripercussioni della crisi si fanno sentire pure sui palcoscenici, dando vita ad una singolare polarizzazione che premia le produzioni piccole e grandi penalizzando quelle medie. Con pochi soldi in tasca, l’ascoltatore fa delle scelte; privilegiando le agili produzioni da club e i kolossal da arena (anche a prezzi salati) piuttosto che le altre. E questo mette in primissimo piano la questione delle strutture, problema mai affrontato con concretezza nel nostro paese. All’estero, infatti, tira tutta un’altra aria. Basta pensare che solo nel 2010 in Europa sono stati inaugurati ben cinque impianti, vale a dire l’Ergoi di Sopot in Polonia, l’M-CH di Herning in Danimarca, la Stožice di Lubiana, l’Arena di Minsk e il Sinan Ernem Dome di Istanbul, colosso da 22.500 posti costato oltre 47 milioni di dollari. Ed entro il 2013 è prevista l’inaugurazione di nuove strutture pure ad Amsterdam, Sofia, Kaunas, Bordeaux per migliorare l’offerta di eventi in Olanda come in Bulgaria, in Lituania come in Francia. Un moltiplicarsi di spazi al coperto, con grandi investimenti ad Est come ad Ovest, a cui l’impulso maggiore l’hanno dato probabilmente i numeri della O2 Arena di Londra. «Nonostante tutto in Italia i prezzi dei concerti rimangono ancora al di sotto della media europea» spiega Roberto De Luca, amministratore delegato di Live Nation Italia, braccio milanese di un multinazionale dell’entertainment che alla produzione di tournée affianca la proprietà e la gestione di strutture su entrambe le rive dell’Atlantico. «Anche se ieri da noi il prezzo dei bi- glietti era quasi la metà che negli altri paesi mentre oggi il divario è sceso sotto al dieci per cento». Colossi dell’intrattenimento come Live Nation e AEG posseggono numerose strutture, ma non in Italia. «Per costruire un’arena oggi in Italia occorrono 80-100 milioni di euro e per questo bisogna offrire agli investitori concreti margini di guadagno che vengono da parcheggi, dagli spazi commerciali, dagli skybox, dai bar e da tutte le altre strutture di servizio per gli spettatori. Un introito che, calcolando 5-6 euro di spesa a testa, fanno 60-80 mila euro a serata. Un bel guadagno, che fino a qualche tempo fa spingeva gli americani ad offrire agli artisti tutto l’incasso tenendosi i proventi degli esercizi commerciali, creando problemi di cachet a noi europei che per evidenti limiti strutturali non potevamo garantire altrettanto. I concerti producono ricchezza e questo dovrebbe spingere le amministrazioni a mettere gli imprenditori disposti a creare nuove strutture in condizione di investire agevolando il credito, reperendo terreni idonei, creando infrastrutture. Altrimenti meglio gestire l’esistente, come facciamo noi a Torino con il Palaolimpico e il Palavela. Ci sono infatti alcuni edifici che, adeguatamente ristrutturati possono fare il salto di qualità necessario ad affrontare le sfide del mercato. Un caso per tutti: a Dublino abbiamo investito oltre 25 milioni di euro per portare il vecchio Point da 8.500 a 14.500 posti. Ma non tutte le strutture consentono interventi di questo tipo; a Roma, ad esempio, sarebbe più economico costruire un nuovo palazzo dello sport che intervenire sul Palaeur. Purtroppo finora tutti i terreni presi in considerazione per l’eventuale creazione di una nuova arena sono lontani dalla città o mal collegati. A Milano fra qualche tempo avremo il bando di gara per la costruzione di un palazzo polifunzionale per sport e spettacolo sul sito in cui sorge da 25 anni la tensostruttura del PalaSharp, attendiamo di conoscere a quali condizioni».