domenica 17 gennaio 2010
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«La rastrelliera all’esterno della biblioteca statale di Berlino può ospitare più di cento biciclette. A mezzogiorno sono quasi tutte occupate, per questo arrivo sempre al mattino…». Immagine emblematica quella della Stabi, la biblioteca della città dell’ex Muro, descritta da Max Mauro nel suo "angelico" diario a pedali La bici sopra Berlino (Ediciclo). Berlino, dal Mitte al quartiere turco di Kreuzberg, fino agli estremi lembi di una metropoli di quasi quattro milioni di abitanti, totalmente ciclabile, si gira rigorosamente pedalando, ed è riconosciuta da sempre tra le grandi capitali della bicicletta e del traffico sostenibile, su due ruote. Del resto nella sagace Germania della signora Merkel le biciclette che sfrecciano per le strade, sempre nel rispetto dei semafori e soprattutto del pedone, sono il doppio delle auto, le quali vengono abbandonate a lunghi letarghi nei garage dalla maggior parte degli ottantadue milioni di tedeschi. Questi infatti, molto civilmente e senza appellarsi al pensiero della Scuola di Francoforte, visto che la media degli spostamenti giornalieri è di appena cinque chilometri hanno compreso da tempo che è molto più vantaggioso, per la salute pubblica e privata, servirsi dei settanta milioni di mezzi pedalanti. Ma l’ottimo modal share ciclistico teutonico non si accontenta e per stare a ruota con i modelli più avanzati di Viennae Londra, ma soprattutto con le "regine" della "mobilità dolce" Copenaghene Amsterdam. Da Berlino a Monaco di Baviera, aumenta ad ogni stagione il numero e la lunghezza delle piste ciclabili, che ormai costituiscono una rete di quarantamila chilometri. Questo grazie a un governo illuminato che da un decennio per la costruzione, l’ammodernamento e la manutenzione dei percorsi ha investito cento milioni di euro e mette a disposizione delle città tedesche due milioni di euro all’anno da spendere per incentivare il traffico in bicicletta. La Francia non vuole essere da meno e sta correndo senza freni per rafforzare le vélo routes, copiando sul piano politico-amministrativo il sistema danese del contratto bilaterale Stato-enti locali e nella pianificazione dei percorsi urbani quello tedesco. I risultati si stanno vedendo, con Strasburgo che vanta il venticinque per cento di ciclisti che si muovono per le vie del centro e la placida Montpellierdove la metà della popolazione giovanile al mattino va a scuola pedalando allegramente. Parigi ha riscoperto il fascino discreto della bicicletta grazie al sistema di noleggio bike sharing. Il Vélib parigino (a Lione si chiama Velo’v ed è stato il primo in Francia nel 2005) oggi mette a disposizione ventunmila biciclette a noleggio, dislocate in 1.450 stazioni dell’area metropolitana. Un servizio che viene offerto alla modica cifra di un abbonamento giornaliero da un euro, che sale a cinque per l’utilizzo settimanale e ventinove per tutto l’anno. C’è poi chi di questi mezzi dal fine design se ne innamora e decide di non restituirli più: un moderno remake di Ladri di biciclette è stato girato – con tanto di furto reale – tra gli Champs-Élysées e la Torre Eiffel. La Spagna sta invece rubando terreni e spazi ferrati per donarli alle tribù dei ciclofili. Così, dal ’93, 7.600 chilometri di ferrovie abbandonate sono stati convertiti a piste ciclabili e pedonali all’interno del progetto Vìas Verdes. Fa storia a sé poi la "movida" ciclistica di Barcellona, che è cresciuta fino a diventare un faro della cultura ciclosofica mediterranea che può competere anche con un modal split come quello della favola olandese Groninga, città assoluta delle due ruote. E l’Italia? Finalmente non sta a guardare, o quanto meno cerca di non farlo più stando solo seduta e in coda al semaforo a bordo di un’automobile. Siamo un popolo di trentadue milioni di bici. La mobilità urbana in biciclo si sta sviluppando (grazie alle tante donne), migliora sensibilmente da Nord a Sud e si addolcisce con progetti mirati come Co.Mo.Do (Confederazione mobilità dolce) del presidente Albano Marcarini, che ha lanciato City-link, una rete informatica per rintracciare percorsi ciclabili da città a città. La bicicleta, come la chiamava Federico Fellini, da sempre tira assai nella Riviera romagnola, e per capire quanto basti un dato: l’estate scorsa con gli incentivi ministeriali in tre giorni a Rimini se ne sono vendute 1.050 contro le 1.041 di Roma. Del resto siamo nella terra dello scrittore ciclosofo Alfredo Oriani e del "Pirata" Marco Pantani. Salendo lo Stivale, si conferma la passione nel sipario ducale della ciclabilità di Ferrara e si consolida quella di Torino e di tutto il Nord-Est: Pordenone, Mestre, Padova e Vicenza, che offre piste cittadine all’avanguardia con doppio senso di marcia. Ma una marcia in più sembrano avercela Trento e Bolzano: «Qui il model split è intorno al trenta per cento – assicura Augusto Castagna, presidente dell’Associazione Italiana Città Ciclabili –. La grande novità italiana è che finalmente si comincia a parlare di ciclabilità dei nostri centri urbani anche a livello istituzionale. Il prossimo maggio, la prima domenica, in occasione dell’evento annuale Bimbimbici, come promesso dal ministro Stefania Prestigiacomo dovremmo dar vita alla Giornata nazionale della Bicicletta». Sono oltre cento le città ciclabili associate e altrettante le realtà di bike sharing sul territorio nazionale, con un incremento notevole anche al Sud. Bari si segnala come centro ciclabile in ascesa nel Mezzogiorno, anche grazie al lavoro di formazione e informazione che da oltre vent’anni porta avanti Lello Sforza con gli enti locali e la Regione Puglia. E nella frenetica Milano, a corto di piste ciclabili (appena settanta chilometri) e tra le maggiori capitali europee dello smog, Roberto Peia «con altri due amici soci» ha creato l’Urban Bike Messenger, ovvero il pony-express in bicicletta. «La nostra è una soluzione verde all’inquinamento metropolitano, quindi un servizio eticamente ed ecologicamente garantito che da almeno quarant’anni funziona in una megalopoli come New York. Quindi perché non dovrebbe prendere piede da noi?». E infatti l’Ubm a Milano poggia già su una lista di cinquecento iscritti, per una media di una decina di spedizionieri in bicicletta che con un accordo stipulato con Dhl recapita la merce a domicilio nel cuore storico della città. «Il progetto futuro – dice Peia – è quello di creare una rete nazionale e stiamo lavorando per portare l’Ubm ovunque, da Bolzano a Napoli. E qui a Milano la speranza è di diventare protagonisti con le nostre biciclette scattanti e leggere di un Expo del 2015 che sia ecologico e a misura d’uomo».È quello che già tentano di fare, pedalando in una città che "rispetta la natura", "muovendosi in libertà" e "colorando la giornata", i noleggiatori di risciò di Firenze, che offrono una prospettiva insolita ai cicloturisti (in Italia sono due milioni in inverno e quattro milioni con la bella stagione). Ma siccome i risciò non inquinano, decongestionano un traffico che nella pur piccola Firenze ingolfa eccome, ma soprattutto garantiscono una diversa proposta culturale – a Berlino e Avignone da anni sperimentata con successo –, qualcuno ha pensato bene di fargliela pagare con multe salate e sequestro del simpatico ciclo cinese. Però il ragazzo del risciò di Firenze non si arrende, neppure dinanzi allo scenario di una città che è specchio dell’intero Paese: «Dove – scrive la fiorentina Paola Zannoner – si viaggia un po’ sul marciapiede, un po’ sulla carreggiata e le piste sono un po’ segnalate e talvolta no, ma a volte si esagera con una bella mano di rosso acceso sul marciapiede, in modo che la pista ciclabile possano vederla anche i venusiani». L’abbiamo voluta la bicicletta, ma c’è ancora tanto da pedalare per arrivare alla finnica Turku e alla maestà di Copenaghen, paradisi di una sostenibile leggerezza dell’essere ciclista.
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