Varata l’estate scorsa dal ministro Dario Franceschini, la riforma del MiBact (ministero dei Beni e delle attività culturali e del Turismo) modifica in modo sostanziale l’assetto delle trentasei biblioteche pubbliche statali italiane, alle quali vanno aggiunte le undici biblioteche annesse ai monumenti nazionali. Eccezion fatta per le Nazionali centrali di Roma e di Firenze e per altre quattro strutture (l’Universitaria di Genova, la Marciana di Venezia, le Nazionali di Torino e di Napoli), viene meno la qualifica di sede dirigenziale. Le biblioteche vengono così a cadere sotto la diretta responsabilità del MiBact oppure subordinate a un’altra dirigenza territoriale, non necessariamente d’ambito affine. Una ridistribuzione di competenze resa necessaria dalla spending review, ma che sta anche suscitando perplessità e reazioni da parte degli esperti.
Sarà forse perché ormai, da queste parti, non ne possono davvero più. Scandali finanziari, terremoti prima politicamente figurati e poi drammaticamente reali, perfino il tracollo (e le temporanee rivincite) della squadra di calcio. Fatto sta che, alle prime avvisaglie della riforma che avrebbe interessato anche la biblioteca Palatina, la società civile di Parma si è messa in movimento. Va bene tutto, ma anche la biblioteca no. La biblioteca e la Galleria nazionale, per essere precisi, glorie locali con rilevanza più che nazionale, ospitate nella medesima sede, il rinascimentale Palazzo della Pilotta. Al termine dello scalone te li ritrovi tutti davanti, i gioielli della città amata da Stendhal: il Teatro Farnese, la Galleria con i suoi Parmigianino e Correggio, la Palatina con i libri antichi e i manoscritti. «Questi ultimi non moltissimi nella dotazione originaria – spiega l’attuale direttrice, Daniela Moschini – perché la biblioteca fu inaugurata nel 1769, in epoca illuminista, e allestita sotto la supervisione dell’erudito Paolo Maria Paciuadi, il primo a introdurre in Italia la catalogazione dei volumi su schede mobili». In seguito però sono stati inglobati il cosiddetto fondo Palatino ( nel quale spiccano raffinati Libri d’Ore e un magnifico Tetravangelo greco dell’XI secolo, realizzato in area calabrese) e la collezione dell’orientalista Giovanni Bernardo De Rossi, la cui valorizzazione è in corso grazie a un accordo siglato con la Biblioteca nazionale d’Israele. «È per varare progetti di questa portata che occorre l’autorità di un dirigente», sottolinea Daniela Moschini. Nella prospettiva della riforma, invece, un dirigente alla Palatina non ci sarà più. Appena se ne sono accorti, i parmensi hanno iniziato a fare rumore. Dapprima politica (molto attivo il deputato Pd Giuseppe Romanini, autore di un’interrogazione parlamentare sul caso), nel gennaio scorso l’iniziativa si è tradotta in una raccolta di firme che ha coinvolto inizialmente intellettuali e artisti. Quasi seimila le adesioni raccolte finora. Al promotore, il critico letterario Mario Lavagetto, si sono aggiunti tra gli altri il regista Bernardo Bertolucci, il giornalista Bernardo Valli e tanti, tantissimi cittadini in allarme. Ma il sostegno di figure eccellenti arriva anche da fuori Parma, per esempio da Inge Feltrinelli e Ginevra Bompiani. «E il paradosso sa qual è? – controinterroga la direttrice – Che qui a Parma non siamo neppure messi tanto male. In fondo, pur avendo perduto la qualifica di sede dirigenziale, continuiamo a dipendere dal MiBact o, meglio, dalla direzione generale delle Biblioteche e degli Istituti culturali. Altrove, come alla Braidense di Milano, questa continuità non è affatto garantita. A Parma parliamo la stessa lingua di Roma, invece: la lingua dei bibliotecari. Almeno finché ci sarà qualcuno in grado di capirla». Non è solo una battuta. «A preoccupare, oltre alla riforma in sé, è il contesto in cui viene a inserirsi – rilancia uno dei bibliotecari della Palatina, Stefano Calzolari –. Veniamo da un decennio abbondante di continua e progressiva riduzione delle risorse, tanto che i fondi per l’acquisto di nuovi libri sono sempre più modesti. L’impressione, purtroppo, è che le biblioteche siano diventate ingombranti, percepite come un costo, non come una risorsa. A queste condizioni, non c’è alternativa alla deriva museale. Una biblioteca come la nostra diventa un luogo da visitare per la bellezza delle soluzioni architettoniche, dopo di che, se va bene, ogni tanto arriva uno studioso interessato a questo o quel testo. Niente di più». Un altro dei bibliotecari, Michele Chiari, aggiunge una notazione molto amara: «Il vero problema riguarda la formazione professionale e il ricambio generazionale – dice –. Per quanto motivati possano essere, oggi i giovani che vogliono intraprendere questa carriera si scontrano con un sistema ormai bloccato. L’ultimo concorso significativo risale alla seconda metà degli anni Novanta, in seguito i posti assegnati sono stati pochissimi. La nostra è una categoria che sta invecchiando senza lasciare eredi». Raccolta di firme a parte, individuare una soluzione non è impresa facile. Qualcuno suggerisce l’istituzione di un polo dirigenziale emiliano, che includa anche la vicina biblioteca Estense di Modena e l’Universitaria di Bologna, ma a questo punto la proposta appare tardiva. In tanto trambusto, comunque, sabato 18 aprile riapre i battenti il Museo Bodoniano, gioiello dell’arte tipografica. Sta a Parma, alla Pilotta, al piano di sopra rispetto alla Palatina.
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