Marco Belinelli, 34 anni, in azione con la canottiera dei San Antonio Spurs - Ansa/Epa
Il telefono gli squilla quando a San Antonio, in Texas (Stati Uniti), sono le ore centrali del mattino: «Sono qui con la mia ragazza, stiamo portando a spasso il cane: è l’unico momento della giornata in cui usciamo di casa. È davvero tosta. Il basket mi manca tanto, ma credo purtroppo che la stagione Nba sia finita. Aspettiamo ancora, anche se in questo momento ci sono cose più importanti, come la salute…». C’è di mezzo l’oceano e migliaia di chilometri, ma il dispiacere e la voglia di voltar pagina di Marco Belinelli sono palpabili. «Ho ancora tanto fuoco dentro» assicura il nostro veterano d’America, oggi 34enne, l’unico cestista italiano in grado di salire sul tetto della Nba, con lo storico titolo vinto nel 2014 con i San Antonio Spurs, la sua attuale squadra. «Il club ha una grande organizzazione: pensano a tutto loro, dalla spesa agli attrezzi per allenarsi, ci sentiamo davvero “coccolati”». Una quarantena da privilegiati certo, eppure anche se hai tutto, c’è una mancanza che proprio non si riesce a colmare: «La famiglia è la famiglia. Viene sempre al primo posto. Vorrei essere lì con loro e con i miei amici. È una sensazione che provo tutto l’anno, ma soprattutto in questo momento difficile ». Non poteva essere altrimenti lui che questo legame se l’è stampato anche sulla pelle. Oltre infatti alle date di nascita dei suoi genitori, il tatuaggio a cui tiene di più è il cappello da alpino di nonno Antonio, che impiantò il primo canestro nel giardino di casa. E del resto se il basket gli ha stravolto la vita lo deve proprio a quelle sfide in cortile con suo fratello Enrico. Un chiodo fisso già nel primo tema alla scuola elementare: «Da grande farò il giocatore di pallacanestro». Esordio in Serie A a 16 anni con la Virtus Bologna, poi passaggio alla Fortitudo con cui vince anche uno scudetto, e nel 2007 approdo negli States dove finora ha giocato in 10 squadre Nba. Questa è la stagione numero 13, nessun italiano può vantare una militanza così lunga nel campionato dei sogni. Cecchino di 196 centimetri, oltre al titolo con gli Spurs c’è anche una pazzesca affermazione nella gara del tiro da tre all’All–Star Game 2014. Un successo che ha contribuito alla sua fama di Rocky Balboa del basket unita a una certa somiglianza con Stallone non sfuggita nemmeno agli americani. Orgoglio di San Giovanni in Persiceto, il suo paese sulle colline bolognesi, che lo ricorda sin da bambino col pallone sotto il braccio, il “Beli” non ha mai dimenticato la sua terra. Lo dimostra anche la recente donazione per l’Ospedale Maggiore di Bologna. Un canestro a distanza nella speranza che presto l’incubo del virus finirà.
La Nba ha ipotizzato una ripartenza a porte chiuse in luoghi blindati come Las Vegas o Disney World...
La mia sensazione è che la stagione sia finita. È molto brutto, ma senza vaccino la vedo dura riprendere in sicurezza. Anche se proveranno a far di tutto per ripartire perché capisco il discorso economico.
In che modo si sta tenendo in forma?
A casa mi sto allenando: San Antonio ci ha dato un programma da subito. Ci hanno portato pesi, cyclette… Non è facile: allenarsi senza pallone e senza canestro è un’altra cosa. Ma bisogna tenere botta, è un momento triste, tanti morti… Il pensiero va sempre a casa con cui sono spesso in contatto. Spero si possa tornare a sorridere presto, con la consapevolezza che quando passerà apprezzeremo di più la vita.
Perché è la famiglia il suo punto di riferimento?
Mi sono stati vicino sempre nei momenti felici e in quelli brutti. Ho una bella famiglia, devo tanto a mio padre e mia madre, e ai miei due fratelli Enrico e Umberto. Sono gli unici che hanno sempre creduto in me, sin da quando ho iniziato a giocare a 6 anni nella Vis Persiceto…
Un concetto che ha ridabito tra lacrime di commozione pochi istanti dopo la conquista del titolo Nba.
Il 99% delle persone era convinto che non potessi giocare in Nba e che avrei fatto presto ritorno a casa. Mentre i miei familiari ci credevano perché mi hanno educato a non arrendersi mai davanti alle sfide.
E si è tolto non poche soddisfazioni...
Difficile dirne solo una: la scelta del Draft con la mia famiglia e Martina, i playoff con New Orleans, l’esperienza con i Chicago Bulls…Ma certo la primissima volta con Golden State è stato molto emozionante. A 20 anni davanti a tutte quelle persone con compagni di squadra fortissimi... Ero nervoso e impaurito, mamma come mi tremavano le gambe…
Pensa di rimanere a lungo l’unico italiano vincitore di un anello Nba?
Credo di sì, anche se davvero mi auguro per l’Italia di non rimanere il solo. Ma vincere il titolo è un traguardo molto difficile, la combinazione di tante cose: sacrificio, fortuna, la squadra giusta al momento giusto...
A Charlotte ha avuto come patron un certo Michael Jordan… celebrato oggi dalla serie The Last Dance.
Nell’anno a Chicago mi sono allenato e ho giocato dove l’ha fatto lui... Emozioni uniche che si provano solo indossando la maglia dei Bulls. Poi ho avuto la fortuna di ritrovarmelo a Charlotte: sin dalla prima telefonata ero basito, perché Jordan è Jordan. La serie lo conferma: la pallacanestro è un gioco di squadra, però individualmente Jordan è il numero 1 di sempre.
Il 16 luglio 2021 uscirà Space Jam 2 con LeBron James protagonista al posto di Jordan. È lui l’erede di MJ?
LeBron è un giocatore clamoroso, fortissimo. Ma penso che di Jordan ce ne sia solo uno. L’unico che si è avvicinato a lui è stato Kobe Bryant anche per la facilità incredibile di trovare il canestro.
La tragica scomparsa di Kobe è un altro evento terribile di quest’anno…
Ancora non riesco a crederci. Ho sempre pensato che fosse indistruttibile. Dopo Jordan è stato il mio idolo. Ho avuto la possibilità di giocarci contro e avere la sua maglietta. Ricordo la prima volta quando mi salutò in italiano e conservo tutte le foto con lui. Una persona super in campo e fuori.
Belinelli come Rocky anche negli States…
È nato tutto quando giocavo con Golden State. Durante una partita tutto il palazzetto cominciò a incitarmi: “Rocky, Rocky”… Un paragone simpatico, anche perché amo molto quei film con Stallone. Sono fiero e orgoglioso di essere italiano. Se pensiamo solo alla bellezza e alla cultura del nostro Paese non dovremmo mai sentirci inferiori a nessuno.
Una carriera esaltante, ma il suo cruccio rimane la Nazionale.
È così. Non essere riusciti a vincere qualcosa e nemmeno mai sul podio è davvero molto triste. Brucia soprattutto l’eliminazione con la Lituania all’Europeo 2015. Ma guardiamo avanti. Sarebbe bello battere la Serbia a casa loro e andare alle Olimpiadi. Sono fortissimi ma possiamo farcela.
A giugno sarà svincolato. Ci può essere il ritorno in Italia nel suo immediato futuro?
La priorità è rimanere in una squadra Nba per cercare di vincere un altro titolo. Ma non escludo altre opzioni.
C’è però un altro anello, che ha già regalato alla sua fidanzata.
Con Martina ci sposeremo l’estate del 2021, siamo davvero molto contenti. Sarà un passo importante della nostra vita. Vorrei un giorno raccontare ciò che sto vivendo ai miei figli. Essere d’esempio per loro e tanti ragazzi. Testimoniare che per andare avanti bisogna far sacrifici e amare molto ciò che si fa. Senza mai mollare: Never give up.