Il direttore d'orchestra Daniel Barenboim al Teatro alla Scala di Milano
L’incedere è lento, rallentato (inevitabilmente, dato quello che nel frattempo c’è stato) rispetto all’ultima volta (era il novembre del 2021) che ha percorso quel tratto di palcoscenico. Ma non chiede aiuto, non si appoggia alle mani dei violinisti che si tendono. Va dritto, deciso verso il podio sul quale sale appoggiandosi alla sponda coperta di velluto rossoScala. Lo sguardo è quello di sempre. Fiero. Spavaldo. Con una caratteristica che pochi hanno, quella di guardare negli occhi – in quel lasso di tempo che passa tra l’ingresso sul palco e l’attacco da dare all’orchestra – ciascuno. Facendoti sentire unico. Facendoti percepire che lui, questa sera, suonerà per te. Solo per te. Magia del teatro, del rito che ti porta a entrare in una sala, a immergerti nel buio per (ri)ascoltare una partitura (che a volte conosci a memoria) come se la ascoltassi per la prima volta. E come se (illusione magnifica) la suonassero solo per te.
Daniel Barenboim ha questa capacità, di guardarti negli occhi e di farti sentire che stasera farà musica solo per te. Anche adesso che è tornato a dirigere dopo che problemi di salute lo hanno costretto a cancellare gli impegni in agenda e a dire addio alla Staatsoper Unter den Linden, il suo teatro di Berlino, proprio sulla soglia degli 80 anni (compiuti lo scorso 15 novembre). A ottobre l’annuncio, via social, dell’addio alle scene a causa delle conseguenze di una malattia neurologica. Qualche settimana fa il ritorno a sorpresa sul podio dei Berliner philharmoniker con l’amica di sempre, la pianista (argentina come lui) Marta Argerich. Mercoledì il pianista e direttore d’orchestra è tronato anche al Teatro alla Scala, il “suo” teatro sino al 2014, prima come “maestro scaligero” titolo coniato appositamente per lui, poi come direttore musicale.
Mercoledì 15 febbraio – giorno in cui il sovrintendente del Maggio musicale Alexander Pereira ha annunciato un suo concerto beethoveniano il 1 aprile a Firenze – Barenboim è tornato a Milano per sostituire Daniel Harding, costretto da motivi familiari a rinunciare al concerto della stagione sinfonica. Immutato il programma del triplo concerto (dopo la prima di mercoledì, si replica giovedì 16 e sabato 18 quando la serata andrà in diretta su LaScalaTv). Programma che Barenboim ha provato con la Filarmonica da domenica in un clima di ritrovata amicizia, tutto mozartiano. L’ultimo Mozart, quello delle ultime tre sinfonie, la Sinfonia n.39 in mi bemolle maggiore, la Sinfonia n.40 in sol minore e la Sinfonia n.41 in do maggiore Jupiter.
Che Barenboim riveste di solennità, la solennità della vita. Quella che scorre nelle tre pagine che Mozart scrive nel tempo di un’estate, da giugno ad agosto del 1788, e che Barenboim dirige riducendo al minimo il suo gesto: basta uno sguardo, la mano sinistra che chiede morbidezza di suono, la bacchetta che traccia pochi segni nell’aria per restituire la dolente malinconia delle ultime tre pagine. Che hanno ciascuna lo stesso carattere di uno dei tre capolavori mozartiani, perché la Sinfonia n.39 ha la trasparenza del Così fan tutte, la Sinfonia n.40 la drammatica giocosità del Don Giovanni e la Jupiter la luce de Le nozze di Figaro.
Arrivano così le tre pagine nella lettura del direttore, alla continua ricerca del contrappunto e mai pago di sbalzare, non solo nei Minuetto e negli Allegro, ma anche nella cantabilità degli Andante, una vitalità che ha il sapore (e l’andamento ipnotico) della solenne lentezza scelta come firma da Barenboim per questo suo (inaspettato) Mozart. Ascolto concentratissimo. Alla fine applausi calorosi e una standing ovation di platea e palchi a dire l’affetto di Milano e della Scala per l’artista e per l’uomo (lui, di famiglia ebraica, in prima linea con la musica nel difficile dialogo nel mondo arabo) Barenboim.