Potrebbe essere un paradosso. Perché Luis Bacalov venerdì porterà, in musica, il “pensiero triste” per eccellenza al Festival internazionale della Felicità di Assisi. «Non tanto, però. La felicità è un traguardo difficile da raggiungere, un grande desiderio che spesso si fatica a colmare. E questo un filo di tristezza lo lascia» dice il musicista. Sul sagrato della cattedrale di San Rufino, alle 21.00, risuonerà il tango. Quello che Bacalov, premio Oscar nel 1995 per la colonna sonora de
Il postino, ha “respirato” sin da piccolo in Argentina, la sua terra. «Mio padre ascoltava il tango alla radio. E cantava. Inconsapevolmente mi sono imbevuto di quei ritmi. Per un po’ non li ho frequentati, ma ora riaffiorano nella mia produzione, confermando quello che diceva Edison, che il genio è dato da un 5% di ispirazione e da un 95% di traspirazione». Il compositore e direttore d’orchestra, classe 1933, racconterà la colonna sonora della sua vita «accompagnando le parole con l’esecuzione di brani al pianoforte».
Qual è, maestro Bacalov, questa colonna sonora?«Quella fatta di pagine classiche, da Bach a Stravinskij, che ho conosciuto nel corso degli studi classici compiuti in Argentina. E quella che porta la mia firma, iniziata con gli studi di composizione a Parigi. Fatta di cinema, naturalmente. Suonerò i grandi classici, ma anche le trascrizioni per pianoforte delle mie partiture. Cosa che faccio raramente. E ci sarà anche il tango».
Genere che, però, per anni ha deciso di non frequentare, avvicinandosi ai ritmi tangheri solo dopo i quarant’anni. Come mai?«L’Argentina è un Paese strano, che continua ad avere legami con l’Occidente e a volte si sente ancora colonia. Tanto da considerare quello che si fa in Europa comunque migliore di ciò che viene prodotto in patria. Questo per lungo tempo ha fatto sì che il tango venisse considerato solo come qualcosa di folkloristico, non degno dei grandi compositori. Non escludo che questa mentalità abbia influenzato anche me. Oggi, per fortuna, dopo che da Ravel a Stravinskij a Bartok hanno sdoganato il folklore inserendolo nelle loro composizioni molto è cambiato. E anche i compositori classici argentini si sono sentiti autorizzati a scrivere pagine dove il tango era presente. Io sulla soglia dei quarant’anni ho deciso che dovevo conoscere tutto del tango. E mi sono buttato in una accurata ricerca storica».
Cosa ha scoperto?>«Che il tango non è solo, come diceva Enrique Santos, “un pensiero triste che si balla”, ma è un pensiero triste anche se non si balla. È di più, è qualcosa di drammatico, è un grido di dolore, qualcosa che racconta le tragedie che l’Argentina ha vissuto. Specie il tango cantato, genere nato con gli anni Dieci del Novecento. Mi sono letto centinaia di testi di tanghi e ho trovato una conferma. Nel tango vengono riversati sentimenti repressi, come quelli degli uomini che finalmente qui possono gettare la maschera del machismo imposta loro da certi regimi».
Da allora quasi tutte le sue composizioni hanno echi tangheri.«È stato uno sbocco naturale perché, dopo l’esperimento della
Missa tango ogni volta che un’istituzione mi ha chiesto un nuovo brano ha voluto che in esso ci fosse l’essenza del tango. Negli anni mi ci sono cimentato con esercizi di stile scrivendo tanghi modali, tonali, atonali, politonali. Perché quella del tango è una tradizione che può declinarsi in diversi percorsi. Ho scritto un “Concerto per pianoforte”, un “Concerto per violino”, con echi tangheri. Pagine in cui ho reinterpretato la tradizione con una grande libertà. Ora lavoro a un pezzo per violoncello e orchestra pensato per il violoncellista Enrico Dindo. Ora tutti chiedono il tango, ma c’è stato un tempo in cui questa musica è stata bollata come musica da bordello e quindi rifiutata dalla gente per bene. Poi il tango è arrivato persino in piazza San Pietro, ballato davanti a Francesco».
Per il Papa argentino lei ha scritto proprio un tango.«So che è una musica che ama e ora mi piacerebbe fargli arrivare la mia
Missa. Il Papa è una figura che mi commuove perché ha un impeto eccezionale che si prende anche grandi rischi in seguito alle scelte coraggiose che prende e agli atti che compie. Nei discorsi di Begoglio mi colpisce sempre l’attenzione alla povertà, agli ultimi. E su queste tematiche mi trovo molto in sintonia. Sono nato in una famiglia ebraica molto sui generis, madre praticante e padre socialista. Ma in casa si era trovato un armistizio, fatto di dialogo e di rispetto. E io sono cresciuto in piena libertà».
Il tango, ma il suo nome è indissolubilmente legato al cinema, specie dopo l’Oscar del 1995.«Sul piano professionale l’Oscar mi ha cambiato la vita, certo, ma avere tra le mani quella statuetta non mi ha fatto più di tanto effetto tanto che, appena a casa, l’ho data a mia figlia che l’ha usata per giocare come fosse una delle sue bambole. E io ho continuato a scrivere. Per il 2016 ho due progetti, lavorerò alla colonna sonora di due film, uno che sarà girato in Italia e uno negli Stati Uniti».
Come sta oggi il cinema?«Negli ultimi anni ha subito grandi trasformazioni. Le vacche grasse sono finite, nessuno può più permettersi i fasti produttivi di un tempo. Ma sono finite anche le idee: non ci sono più i Fellini, i Pasolini, gli Antonioni, i registi che hanno portato arte e qualità sul grande schermo. La tv, specie quella italiana, ha fatto la sua parte per affossare i cinema. E forse è finita anche la stagione dei grandi musicisti che scrivono per il cinema. Rota, Morricone… Piersanti è un autore interessante, ma ha sessant’anni. Dove sono i giovani? Forse non ci sono perché anche in questo campo mancano i mezzi: oggi si fa tutto a computer, nel chiuso di una stanza».
Occorrerebbe una scuola per insegnare ai giovani l’artigianato del fare musica per il cinema?«Per dieci anni ho tenuto corsi estivi a Siena, con qualche buon risultato. Oggi occorrerebbe un corso biennale in Conservatorio. Per ora nessuno me lo ha mai chiesto. Ma non so nemmeno se accetterei perché un tale impegno richiede serietà, continuità. E a 82 anni sento di aver bisogno anche di un po’ di riposo».