«L'Iran, la mia patria, dovrebbe imparare da Bach, grande maestro di democrazia». Ad auspicare che il musicista tedesco possa insegnare al regime di Ahmadinejad a dialogare con il mondo e a non reprimere le voci della protesta con la violenza è Ramin Bahrami. Il pianista iraniano, classe 1976, vive in Europa da quando aveva 10 anni, ma segue con apprensione la tragica situazione del suo paese. Anche perché ha ferite ancora aperte: il padre ingegnere per lo Scià, venne arrestato dagli ayatollah con l’accusa di essere un oppositore del regime e morì in carcere nel 1991. «Le notizie che arrivano dall’Iran mi fanno soffrire e mi rendono triste perché le repressioni in atto sembrano dire che abbiamo dimenticato la nostra storia millenaria di dialogo e democrazia» dice Bahrami che sabato sarà in concerto a Ponte di Legno. «Sul leggio – racconta orgoglioso – avrò ancora una volta Bach, compagno di viaggio inseparabile e medicina che può lenire le ferite dell’anima».
Scusi, maestro Bahrami, ma cosa c’entra il musicista tedesco con il regime di Ahmadinejad che tiene in scacco l’Iran?Glielo spiego con l’esempio delle
Suite francesi, che sto studiando in questo periodo: la partitura è una sorta di parlamento europeo musicale dove Bach ha messo danze di vari paesi. E se una danza non funziona, non funziona tutto il brano. Se una voce stona, allora tutta va in frantumi. Bach insegna che tutti hanno il diritto di vivere e di coesistere in pace.
Perché questa lezione possa essere compresa lei sarebbe disposto a tornare a suonare a Teheran?Sarebbe il mio modo di protestare. Pacificamente, senza armi, come fanno i miei connazionali che manifestano attraverso il silenzio che da’ tremendamente fastidio e al quale i capi supremi rispondono con la violenza. La situazione è molto più grave di quello che si può pensare: da noi arriva una minima parte di quello che accade. E purtroppo ormai, spenti i riflettori dei primi giorni, molti media hanno messo in secondo piano le notizie che arrivano dall’Iran. Io ho un fratello che abita a Teheran e mi racconta di scenari sconvolgenti. L’Occidente deve capire che questa gente muore innocente e condannare con fermezza il governo di Ahmadinejad.
Ma sono molte le voci di condanna che si sono levate in questi mesi.Non sono sufficienti. Occorre che il mondo che crede nel bene si unisca per fare qualcosa. Occorre essere fino in fondo cristiani, musulmani, ebrei e dare un significato concreto alla parola solidarietà. La fede come la cultura è una delle poche ancore di salvezza in un mondo ormai in frantumi. Credo profondamente in questo e intendo il mio essere musicista come una missione, come un modo per condividere con i miei simili valori importanti. Ma tante volte mi sento solo in questa battaglia perché sono in molti a fare musica per se stessi, trasformando concerti e dischi in un’esperienza di egoismo e pura acrobazia.
Dicendo acrobazia allude all’esercito di pianisti cinesi che sta colonizzando l’Occidente?Il fenomeno in sé è splendido perché il fatto che ci siano tanti fratelli dell’Estremo Oriente che si interessano alla nostra cultura non può che essere positivo. Occorre, però, evitare che questo diventi un fenomeno da circo. Suonare il pianoforte non è una sfida a videogame, non deve diventare un esercizio ginnico dove si fa a gara per vedere chi è il più bravo. Un musicista che sale su un palco per far vedere cosa è capace di fare (e le assicuro che oggi sono in molti) ha perso di vista la propria missione, quella, cioè di trasmettere alle generazioni di oggi i valori che i giganti della musica hanno messo nelle loro partiture.
Secondo lei qual è la causa di questa situazione negativa?Vogliono tutti puntare sul facile profitto. Anche nella musica c’è troppo commercio inutile che rischia di mettere in un angolo gli artisti veri a favore di fenomeni dei quali presto il pubblico si stanca. Ma voglio vedere anche il lato positivo del fenomeno. Il fatto che ci sia in giro molta musica potrebbe far sì che un domani negli ascensori degli alberghi, nei bar, in metropolitana ci siano Mozart o Beethoven invece di certe pessime melodie che si ascoltano troppo spesso oggi.