«Porto il Vangelo in tv, trasportato ai giorni nostri, perché oggi tornare alla grande lezione evangelica è tutt’altro che inutile, anche per i non credenti». Pupi Avati non smette di sorprendere, e anticipa ad
Avvenire il suo nuovo progetto. Il 29 giugno il regista bolognese tornerà sul set per iniziare le riprese del film tv
Le nozze di Laura , ispirato all’episodio evangelico delle nozze di Cana. Un film in una puntata approvato dalla direzione di Rai Fiction, che l’autore si augura possa essere il preludio ad una serie in più puntate che riporta il Vangelo ai giorni nostri, «ma non abbiamo ancora certezze», spiega. «Questa prima incursione nel Vangelo parte dalle nozze di Cana, che è il momento in cui, attraverso il suo primo miracolo dell’acqua trasformata in vino, Gesù si mostra per la prima volta come figlio di Dio», aggiunge il regista.
Avati, ma quale potrebbe essere un miracolo “moderno”?«Abbiamo trasposto l’episodio evangelico nel contesto attuale in Calabria, fra i raccoglitori di agrumi subsahariani che arrivano da quell’altrove così tanto temuto e deprecato per lavorare e vivere in condizioni mortificanti. Il miracolo è il matrimonio fra un ragazzo del Ciad e una ragazza italiana. Lui è un principe che si riduce prima a fare il venditore di borse taroccate, poi il raccoglitore di arance per permettersi gli studi di medicina a Bologna. È una persona di estrema sensibilità che si innamora della figlia del proprietario dell’agrumeto, una ragazza che non ha mai avuto un ragazzo, è emarginata dalla vita, grassottella, piena di complessi. Dopo molte difficoltà, riusciranno a sposarsi. Il miracolo, appunto, è che che si sposano due culture così lontane e che i giorni che stanno vivendo rendono sempre più diffidenti fra loro».
Il Vangelo, quindi, resta sempre attuale, in un momento in cui il cristianesimo è sotto attacco?«Quello che dice il Vangelo andrebbe recuperato e riassunto come modello ispiratore nei comportamenti sociali, di tutti, credenti e non. Amare il prossimo tuo come te stesso, considerare gli ultimi come primi non richiede la fede in un Dio che sta al di là delle nuvole. Oggi siamo arrivati agli antipodi, si vive all’opposto della lezione evangelica, l’unico metro di giudizio è quello economico. Mi spiace dirlo, ma avviene in tante famiglie, nella scuola, nella stessa tv dove trionfa la quantità rispetto alla qualità».
Quali altri episodi vorrebbe portare in televisione?«Ho indicato alla Rai una possibile collezione di altri titoli stimolanti desunti dal Vangelo per comporre una serie intitolata
La buona novella. Mio fratello ed io con la nostra casa di produzione abbiamo delle idee sui momenti della Scrittura che possano essere più facilmente adattabili all’oggi: la funzione di questi film sarebbe quella di farci riflettere sul nostro comportamento. Da parte della Rai abbiamo avuto un grande interesse, ma non ancora l’approvazione per l’intero progetto, ma mi piacerebbe moltissimo, la ritengo una serie opportuna e necessaria. Fra le tante storie che si raccontano in tv, che non sono tutte così indispensabili».
Sono i temi dell’accoglienza che lei ha già affrontato in tv, come nella Lampedusa de Il sole negli occhi.«Certo, la cronaca mi fornisce gli spunti. Quel film, come pure questo, parla di accoglienza contro la “cultura dello scarto” come la definisce papa Francesco. Questi esseri umani li fotografiamo nel momento in cui vengono costretti a condizioni penalizzanti, ma nelle mie storie riassumono una identità, sono individui, non una massa».
Qual è il rapporto personale di Pupi Avati con il Vangelo?«Da una parte è il Vangelo stesso che, aprendolo anche a caso, ti suggerisce degli intrecci fortissimi, delle storie potenti: è di una attualità meravigliosa. In quanto credente il mio rapporto con la Scrittura è importante, ma lo dovrebbe essere per tutti. Un mio amico, uno straordinario intellettuale laico molto noto, tutte le sere legge il Vangelo: anche a livello sociale è una fonte di ispirazione per migliorare la vita».
Dovrebbero leggerlo anche i nostri governanti?«Se le riforme si ispirassero al
Discorso della montagnaavremmo una legislazione che guarda con un occhio onesto alla distribuzione dei beni della terra, che sono tanti. Amare il prossimo tuo è durissimo, ma è bello che ci sia stato un ragazzo 2000 anni che fa l’abbia pensato possibile. Quel ragazzo di nome Gesù mi commuove sempre, la sua è l’idea più affettuosa riguardo l’essere umano che ci sia stata. Oggi non c’è mai quell’amore che vola più alto»
Quali altri episodi vorrebbe mettere in scena?«La parabola dei vignaioli: ha presente quello che prende un operaio a lavorare la mattina, poi uno più tardi e poi più tardi un altro ancora e a fine giornata li paga tutti uguali? È evidente che alla Camusso non andrebbe bene. È una parabola che riguarda l’amore. Ho diritto di amare indipendentemente da quanto lavoro è stato fatto... Che merito c’è ad amare chi ci riama? Tu devi amare chi non ti riama: è un’idea rivoluzionaria molto più del liberismo e del comunismo, c’è tutto il senso della vita e dei rapporti. Ecco, mi piacerebbe che nelle omelie i sacerdoti riconducessero di più il Vangelo al nostro presente».
Equità, condivisione: questi temi hanno a che fare anche con Expo 2015.«L’alimentazione e la condivisione: sono un tema centrale nell’esistenza nei riguardi del presente. Purtroppo ho la certezza che questi grandi della terra, anche quelli più apprezzati, trovano una situazione del globo al loro arrivo e quando se ne vanno la lasciano peggiore. Vedere che le sperequazioni aumentano, avere depredato dei continenti nell’incoscienza che qualcuno si sarebbe presentato prima o poi alla cassa, con una violenza che si deve anche in qualche modo capire, avere distrutto un continente come l’Africa... Le responsabilità sono tante, non bastano le tavole rotonde fatte molto di parole e pochissimo di investimenti. Occorrerebbe una volontà comune, che gli stati egemoni si mettessero d’accordo per risolvere questi grandi temi: povertà, fame, paura. Allora il mondo tornerebbe ad essere praticabile, felice e non esposto a questi rischi crescenti. Mi auguro che Expo proponendo incontri e conoscenza reciproca diminuisca un po’ le diffidenze».