Arriva domani nei cinema italiani, quello che in Francia è considerato il film della crisi: degli effetti drammatici che può provocare la recessione. Quello che racconta meglio l’umore e il punto di vista di chi ha perso o perderà il lavoro. Di chi si alza la mattina e non va da nessuna parte, perché in fabbrica hanno sbarrato i cancelli. Louise e Michel, diretto a quattro mani da Benoit Delépine e Gustave Kervern, dopo il premio della giuria al Sundance Film Festival e una scorta di riconoscimenti internazionali (anche al Roma Film Fest), è diventato un caso in patria, sbancando con un pugno di copie, il box office francese. Un successo segnato però da una preoccupante coincidenza, frutto di un cortocircuito tra finzione e realtà. Un’azienda tessile nella regione della Picardia chiude. Senza preavviso le operaie si trovano disoccupate. Tutto è stato sgombrato durante la notte mentre il direttore è scomparso. Le operaie non ci stanno, decidono di farla pagare al «padrone». E assoldano un improbabile killer. L’epilogo, nonostante i toni comici, sarà tragico (i protagonisti compiono degli omicidi per errore per scoprire poi che il vero padrone è un fondo pensione in Florida). Fin qui il film. Una storia che dalla fantasia stralunata di una sceneggiatura è però già in parte ricaduta pericolosamente nell’attualità. Come un’inquietante profezia la farsa di Louise e Michel assomiglia alla realtà di questi giorni in Francia, dove i manager di diversi stabilimenti sono stati minacciati, addirittura sequestrati e tenuti prigionieri. E i casi non sono pochi. Un’escalation di frustrazione che radicalizza in atti violenti la protesta sociale, e che offre in modo lampante degli strumenti con cui rileggere anche il film. Delépin e Kervern, al di là della parodia raccontano di una rabbia sociale, di una 'lotta di classe', come la definiscono, che loro fanno deragliare in una scel- ta disperata, ma che assomiglia troppo a gesti che pensavamo consegnati alla storia. Per questo le vicende francesi hanno subito fatto pensare al piccolo film, girato con quattro soldi e molte idee: un concentrato al vetriolo sulla vita agra degli operai, poveri, disoccupati e cassintegrati. Un’epopea che declina la denuncia sociale con toni da commedia nera: «Uno humour crudele alla Dino Risi – spiegano i registi –. Il cinema francese è più interessato alla classe media e ai dirigenti. Appena un film parla della classe operaia, diventa molto serioso. Noi invece volevamo fare una commedia ambientata in una realtà sociale, un film a metà fra i Dardenne e i fratelli Coen». Un film «di lotta di classe» che ripropone con una comicità corrosiva temi e personaggi cari ai due combattivi autori: «Anche il nostro ultimo film, Avida, parlava dello scontro tra i poveri e i ricchi. Con i primi che si devono rifugiare nelle montagne per sfuggire alla condanna a morte che i più potenti hanno sancito ». Nel loro cinema «fantasociale » i registi cercano il riscatto per i derelitti, con una risata, anche se grottesca e assurda. Nessuna paura di diventare gli «ispiratori» di gesti folli? « Louise e Michel è un film anarchico che rispetta la vita. E anche se è pessimista su come vanno le cose, è pieno di umanità » rispondono i due. Un’umanita che emerge anche da gli attori. «La maggior parte sono straordinari non professionisti. Le operaie attorno a Louise sono delle vere lavoratrici tessili che hanno perso il lavoro. Le abbiamo conosciute ascoltando le conversazioni ai loro tavoli. Quindi abbiamo lavorato a braccio, usando i sentimenti e l’istinto. Come loro i nostri personaggi sono persone sperdute, ecco perché non possiamo dirci ottimisti per l’immediato futuro ». Infine una speranza: «Ci piacerebbe se il nostro film, che parla di lavoratori, disoccupazione e posti di lavoro, potesse aiutare a cambiare il panorama politico».