sabato 22 maggio 2010
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Il 1938 fu un anno di scontro tra Chiesa e fascismo. L’avvicinamento dell’Italia alla Germania nazista e l’adozione di una legislazione antisemita provocarono quella che Andrea Riccardi ha definito una «disaffezione» dei cattolici verso il fascismo. In quell’anno terribile per l’ebraismo europeo, con il varo di leggi razziali in Italia, Ungheria, Romania e Austria annessa al Terzo Reich, vi fu una contrapposizione prolungata tra Pio XI e Mussolini. Il primo intenzionato a non cedere sulle questioni di principio, quali l’unità del genere umano e il rifiuto del razzismo; il secondo irritato da quella che considerava un’ingerenza della Chiesa in questioni politiche. Proprio il 1938 è il fulcro delle vicende narrate nel recente volume di Valerio De Cesaris Vaticano, fascismo e questione razziale (Guerini, pp. 288, euro 23,50). Il libro, che si basa su lunga ricerca d’archivio, descrive sia le reazioni del mondo cattolico italiano alla campagna antisemita del fascismo, sia il confronto diplomatico tra governo e Santa Sede sulla questione razziale. Ne emerge un quadro ampio, in cui le prese di posizione contro l’antisemitismo non furono poche e isolate come si potrebbe credere. Cattolici come Igino Giordani e Giuseppe Ricciotti criticarono costantemente l’antisemitismo negli ultimi anni Trenta. Cardinali europei si schierarono apertamente contro il razzismo. Fu soprattutto Pio XI ad affermare che «l’antisemitismo è un movimento odioso, con cui noi cristiani non dobbiamo avere nulla a che fare… l’antisemitismo è inammissibile», aggiungendo che i cristiani sono spiritualmente semiti. Queste frasi, ormai celebri, pronunciate dal Papa il 6 settembre 1938 e pubblicate su alcuni giornali cattolici europei, fecero il giro del mondo, suscitando l’ira di Mussolini. Gli storici hanno generalmente scritto che L’Osservatore Romano censurò questo forte discorso su ordine della Segreteria di Stato, preoccupata che potesse compromettere i rapporti tra Santa Sede e governo italiano. In realtà andò diversamente come dimostra con puntualità De Cesaris: non vi fu censura, poiché il discorso ebbe luogo in un’udienza privata e fu il Papa stesso a chiedere a uno dei presenti, monsignor Louis Picard, di renderlo noto. Cosa che costui fece pubblicandolo su La libre Belgique. Pio XI, sino alla morte, non cessò di attaccare le politiche razziste e antisemite. Il cardinale Giovanni Mercati, prefetto della Biblioteca Vaticana, scrisse nel dicembre 1938 un appello a favore degli studiosi «di discendenza ebraica», perché venissero accolti nei Paesi democratici e fossero aiutati a trovare un nuovo impiego. Il Papa lo appoggiò con una lettera spedita assieme all’appello ad alcuni cardinali statunitensi e canadesi: «Crediamo – scriveva - che a nostro Signore Gesù Cristo non dispiacerà questa cura e buon ufficio per coloro che appartengono al popolo da cui ha avuto origine e per cui egli pianse e sulla Croce stessa invocò misericordia e perdono». De Cesaris ricostruisce poi i passi del Vaticano per bloccare le leggi prima che fossero promulgate. Sul piano diplomatico la Santa Sede concentrò i propri sforzi su un unico punto del decreto del novembre ’38, quello relativo ai matrimoni misti (vista anche la determinazione del governo a non ascoltare la Chiesa e a «tirare diritti», come disse Mussolini). Come già Pietro Scoppola aveva evidenziato nel suo volume su Chiesa e fascismo, il Vaticano considerava le leggi razziali un vulnus al Concordato, in quanto con un provvedimento unilaterale veniva modificata la normativa matrimoniale regolata dai Patti del 1929. Quell’appiglio giuridico era l’unico al quale ci si poteva aggrappare per chiedere una revisione del testo preparatorio del decreto, prima che diventasse legge. I tentativi vaticani furono vanificati dall’intransigenza di Mussolini, che non era affatto disposto a trattare. Tuttavia, come emerge dalle pagine di De Cesaris, Pio XI manifestò anche un’opposizione di principio di fronte alle teorie razziali, in particolare all’indomani della pubblicazione del documento Il Fascismo e i problemi della razza noto come «Manifesto degli scienziati razzisti»: «Si tratta ormai – affermò il Papa – di una forma di vera apostasia. Non è più soltanto una o l’altra idea errata, è tutto lo spirito della dottrina che è contrario alla fede di Cristo». Questa è la chiave per comprendere l’atteggiamento di Pio XI di fronte al razzismo e all’antisemitismo: la Chiesa rifiutò la legislazione antisemita non solo perché colpiva il Concordato, ma perché vi è un’incompatibilità di fondo tra il razzismo (e con esso l’antisemitismo razziale) e l’universalità cattolica. De Cesaris mette in risalto il ruolo dell’Osservatore Romano che, seguendo la linea del Papa, pubblicò diversi articoli contro il razzismo e l’antisemitismo. Ne è un esempio l’intervento di Renzo Enrico De Sanctis del marzo 1938. Egli, dalle colonne del giornale vaticano, ricordava che «Iddio si è fatto uomo ebreo» e si chiedeva «come esprimere l’enormità dell’oltraggio e della bestemmia che consiste nel vilipendere la razza ebraica?». Negli stessi mesi il settimanale vaticano, L’Osservatore Romano della Domenica, pubblicò un articolo ironico in cui si legge che «gli ariani esistono allo stesso grado degli Iperborei, dei Lillipuziani e dei Giganti danteschi. Sono, cioè, spiritose invenzioni di poeti e d’altri sapienti fantasiosi», e in cui si afferma che «togliere a Cristo, oggi, la universalità – la cattolicità – della sua dottrina, che annulla le razze nella superiore unità della figliolanza da un unico Padre, è ripetere un’eresia non meno pericolosa di quella dell’antico arianesimo». Sono soltanto due esempi, e De Cesaris ne riporta nel suo libro molti altri. Dal libro Vaticano, fascismo e questione razziale emerge dunque l’opposizione al razzismo e all’antisemitismo, che fu, come scrisse lo storico gesuita Angelo Martini, «l’ultima battaglia di Pio XI». Non una battaglia solitaria, perché vi parteciparono biblisti come Giuseppe Ricciotti e Mario Bendiscioli, scrittori come Igino Giordani, giornalisti come Guido Gonella e Renzo Enrico De Sanctis, sacerdoti come Primo Mazzolari ed Emilio Guano, vescovi di numerosi Paesi, tra i quali il cardinale di Parigi Jean Verdier e il cardinale primate del Belgio Jozef van Roey. E alla quale partecipò, esprimendo un dissenso silenzioso ma radicale, larga parte del mondo cattolico italiano.
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