Mission impossible, in questi tetri tempi di rap e trap. Anzi no, se a provarci è Renzo Arbore. Fedele a quel perentorio quanto programmatico Napoli. Punto e a capo con cui intitolò un anno dopo la fondazione il primo album della sua Orchestra italiana (1992), è ancora quell’immenso patrimonio a riaprire il discorso con la grammatica musicale e culturale di un made in Napoli che diventa anche made in Italy. Così un anno dopo riecco lo showman bissare la fortunata (e premiata dagli ascolti, con quasi quattro milioni di telespettatori e poco meno del 20 per cento di share) esperienza di Indietro tutta 30 e lode con le due puntate del nuovo Guarda... stupisci (in prima serata su Rai 2, domani e il 19 dicembre) con Arbore ancora a braccetto alla conduzione con Andrea Delogu e Nino Frassica, che canterà anche la canzone Agata a cui si ispira il titolo del programma («Mi piace pensare di essere il terzo Nino a farlo, dopo Taranto e Ferrer»).
Format che vince non si cambia, ma il soggetto sì: dalla celebrazione del programma cult dell’87 a quella della canzone napoletana. In particolare di quella comica (“Modesta e scombiccherata lezione sulla canzone umoristica napoletana” recita il sottotitolo), madre e ispiratrice di un inesauribile filone sfociato nella grande tradizione del varietà televisivo e ancor prima nell’arte di maschere come Totò, a cui è intitolata la scenografica aula universitaria realizzata nel centro diproduzione Rai di Napoli, con dettagli che ricordano il capoluogo campano tra rulli in movimento a richiamare il mare, colonne, limoni e una nicchia in foglie d’oro con la statua di san Gennaro. Qui Arbore terrà lezione a un pubblico di selezionati discenti aspiranti artisti e operatori del mondo dello spettacolo. A presentare tutto ciò ieri, nel tempio del jazz milanese, il Blue Note (che Arbore, tra gli altri, tenne a battesimo quindici anni fa), «per la prima volta nella storia della televisione – ironizza Frassica – addirittura due direttori di rete». Andrea Fabiano (sotto la cui direzione è nata l’idea del programma) e Carlo Freccero, subentratogli due settimane fa alla direzione di Rai 2. «Arbore è il dna di Rai 2, è il suo canone artistico – ha detto Freccero – e questo programma è l’esempio di cosa deve essere la buona tv. Gli ho già chiesto di rendere un omaggio dissacrante anche a Gianni Boncompagni, mio carissimo amico».
Arbore ancora insegnante, un ruolo doveroso...
«Compito di un artista della mia età è recuperare per i giovani, i cosiddetti Millennials oggi in balia di rapper e altro, quella musica che non merita di scomparire sopraffatta dalle mode passeggere. La cosa più importante della mia carriera è stata proprio il recupero della canzone napoletana. E del mandolino, che si insegna anche al conservatorio».
Ma anche alle superiori. A Genova il liceo musicale “Sandro Pertini” ha appena aperto un primo corso assegnando la cattedra al concertista Carlo Aonzo.
«Genova è una delle patrie del mandolino antico. La melodiosità del mandolino è unica. Gli spartiti una volta si chiamavano mandolini, perché il mandolino faceva il canto, la melodia. Io l’ho rilanciato e uno dei mandolinisti dell’Orchestra italiana, con cui ho fatto in 27 anni circa 1.500 concerti in tutto il mondo, dirige la cattedra di mandolino al conservatorio di Bari».
Però nel 1991 quando fondò l’Orchestra italiana lei era stato accusato di “cartolinismo”.
«Sì, un’etichetta che sviliva lo spirito di un atto di amore e di un’operazione culturale. Perfino i colleghi napoletani credevano ormai che questa fosse roba del passato, che non fossero classici evergreen come quelli dell’american songbook che canta oggi Michael Bublè. Invece non sono canzoni dei nostri nonni, ma pezzi di cultura straordinaria. Tanto che la Regione Campania mi ha incaricato di curare l’archivio della canzone napoletana, a partire da quella antica. Sono le canzoni più melodiose al mondo, per non dire della poeticità dei testi. Come quelli, per esempio, di Salvatore Di Giacomo».
Ma quando finisce però storicamente la canzone napoletana? «Con Pino Daniele, che a modo suo ne è stato un epigono. Io che sono un cultore della canzone napoletana ancora mi sorprendo di quante invenzioni ci sono intorno all’amore e alla bellezza della natura in quegli anni tra fine Ottocento e la prima metà del Novecento. Una fioritura di ispirazione come nel Brasile di Joao Gilberto e Vinicius de Moraes. Ci sono dei cicli, pensiamo agli anni dei Beatles e dei Rolling Stones in Inghilterra, al rhythm and blues a Memphis o al periodo dei nostri cantautori negli anni ’70».
Nel suo programma strizza l’occhio alla canzone umoristica...
«Io cerco di mescolare alto e basso, ma sempre con qualità, senza scadere nella volgarità. Connotato purtroppo di troppa attuale tv. Fu Napoli a fornire i primi esempi di canzone umoristica, sempre però tenuta in sott’ordine. Un genere pensato per i cafè chantant, ma i cui canoni espressivi vennero adottati dai comici tradizionali: l’ammiccamento, il gioco di parole, il doppio senso, lo sfottò. Meccanismi umoristici di cui sono figli anche quelli odierni, pensiamo a a Checco Zalone. E prima di lui a Benigni, Verdone, Troisi, lo stesso Frassica».
Altra tv e, parafrasandola, altro gradimento.
«Sì, bisognerebbe tornare all’indice di gradimento o di affezione. Superiamo la dittatura dell’Auditel e dello share, secondo la cui logica i programmi più visti sarebbero meglio degli altri. E la qualità dove la mettiamo? Bisogna tornara a una tv soft al posto di questa tv hard. Una tv da amare e che insegni. La Rai in questo senso ha il compito di sperimentare. Per esempio, puntando e producendo format italiani che rispecchino la nostra cultura, anziché acquistare quelli internazionali». Invece? «Invece dominano le risse verbali. Livore, tendenza all’odio, sopraffazione, volgarità. Ma l’emblema di tutto ciò sono i social. Appena uno dà un’opinione si scatenano quelli che per invidia o altro attaccano con violenza pur di apparire. Viviamo un momento terribile».
Cosa si può fare, secondo lei?
«Bisogna educare i giovani a usare la Rete, social compresi. La Rete è una grande risorsa, ma come è usata dai ragazzi è sprecata. Devono cercare, non limitarsi a farne un banale passatempo».