Tra le grandi monografie cui il Mulino ci ha da tempo abituato con la sua «Biblioteca storica», e dove i titoli relativi ad aspetti del mondo musulmano sono sempre più frequenti, il nuovo libro di Maria Pia Pedani s’impone per l’ampiezza dello sguardo e affascina per le caratteristiche di un racconto fresco, arioso, nel quale il rigore della narrazione storica e l’enorme erudizione non compromettono per nulla il fascino d’un quadro che richiama le marine del Carpaccio e le scene squillanti di colore dei vedutisti veneziani del Settecento: i crociati, i pellegrini, il bottino delle lontane conquiste orientali, i cerimoniali degli ambasciatori, i «dragomanni» (un po’ interpreti, un po’ diplomatici, un po’ spie), i corsari, i rematori di galea, i mercanti e gli schiavi. Il tema proposto dalla Pedani, turcologa e ottomanista a Ca’ Foscari di Venezia, abbraccia quasi esattamente un millennio. Anzi, possiamo fornirne le date precise, senza bisogno di partire dai fatidici 21 marzo 421 (mitica data di fondazione della città) oppure 8 gennaio 429 (altrettanto mitica data di consacrazione della prima chiesa sull’allora isola di Rialto), e magari nemmeno dal 750, anno della prima notizia dei contatti tra Venezia e i Paesi musulmani nordafricani (dai quali era partita, anzi si era già conclusa, la conquista della penisola iberica); e neppure dall’813-820, allorché il funzionario formalmente bizantino che reggeva la città, il
dux (è ancora un po’ presto per chiamarlo «doge») conferma l’ordine dell’imperatore romano d’Oriente, secondo il quale era proibito commerciare con i «saraceni», padroni dei Paesi costieri del Mediterraneo dalla Siria alla Provenza. Ma il punto era proprio questo: si poteva davvero impedire a una città incastrata nell’estremo apice nordoccidentale dell’Adriatico, isolata da una terraferma ancora barbarica e insicura e che pur preferiva certo far parte dell’impero romano d’Oriente che non di quello, nuovo e sospetto, fondato dai franchi, di commerciare con le genti che egemonizzavano i tre quarti del litorale mediterraneo? Evidentemente, no. Ecco perché l’effettivo punto di partenza del millennio veneziano preso in considerazione da Maria Pia Pedani, e che giunge formalmente al triste 12 maggio 1797 (la fine dell’indipendenza di Venezia), è un’altra data fatidica, il 31 gennaio 828, allorché i due mercanti Bono e Rustico rientrarono nella loro città recando, da Alessandria, le reliquie di san Marco: sottratte mediante l’espediente poco pio ma efficace di trasportarle coperte di pezzi di carne di porco. Fu davvero fondamentale, quella traslazione; secondo la tradizione cristiana, una Chiesa può dichiararsi patriarcale solo se conserva la reliquia di un apostolo. Avere il corpo dell’evangelista Marco nella chiesa di Rialto significava, per i veneziani, poter fondare un patriarcato concorrente rispetto a quello di Aquileia, che pretendeva un’egemonia su di loro. Ma nessuno poteva allora prevedere comunque che da quelle poche isolette collegate da passerelle e da pontoni, su una bassa e malsana laguna, in un lontano angolo d’un lunghissimo golfo del Mediterraneo, si sarebbe sviluppata in pochi decenni una grande città marinara, autentica cerniera tra Oriente e Occidente, la potenza marinara che avrebbe per almeno mezzo millennio – dall’età delle crociate al Seicento – dominato il Mediterraneo, contendendo la talassocrazia ad autentici colossi come la semialleata Bisanzio, l’eterna rivale Genova, l’impero di Carlo V e quello ottomano. Di questa storia quasi incredibile – che pur è stata più volte narrata da studiosi straordinari come Alberto Tenenti, Marino Berengo, Ugo Tucci, Paolo Preto, Gaetano Cozzi, Gherardo Ortalli, Gino Benzoni – la Pedani ritraccia ora la dinamica dei rapporti con il mondo orientale: che significa bizantino ed arabo-egiziano fino al Quattrocento, ottomano tra XVI e XVIII secolo. Una storia di guerre e di conquiste, certo, ma anche di rapporti diplomatici e perfino amichevoli, di spionaggio, di scambi, di splendide acquisizioni e di superbe realizzazioni artistiche. «Levantini» e «semiturchi» per gli occidentali, i veneziani mandavano galee da guerra ma anche mercanti e diplomatici a Istanbul, prestavano al sultano i loro artisti migliori, accoglievano benevolmente i viaggiatori provenienti dal mondo ottomano e con rispettosa generosità li ospitavano nel «Fondaco dei Turchi» dov’essi vivevano sicuri e ben trattati perfino durante i periodi nei quali la Serenissima era in guerra contro la Porta. Un modello di civiltà e un esempio di serena saggezza per questi nostri tempi.
Maria Pia Pedani"Venezia porta d’Oriente"Il Mulino. Pagine 334. Euro 26,00