Tutto è pronto per il grande traguardo interplanetario. Grande in tutti i sensi, perché si tratta di quello che è noto come il “gigante del nostro sistema solare”. Giove, quello che doveva essere un secondo Sole e che invece non lo è diventato, grande 318 volte più della Terra, verrà raggiunto domani dalla sonda americana Ì. Proprio nel Giorno dell’Indipendenza statunitense. È una missione della Nasa, coordinata e gestita del celebre centro Jpl di Pasadena, ma che vede una nutrita partecipazione della comunità scientifica internazionale, e di quella italiana in particolare. L’Italia collabora alla missione con l’Agenzia spaziale italiana (Asi), che a suo tempo stipulò un accordo bilaterale con la Nasa, e con l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf). Sono italiani, due dei dieci strumenti della sonda: lo spettrometro a infrarossi denominato
Jiram (“Jovian InfraRed Auroral Mapper”, “mappatore ad infrarossi aurore di Giove), realizzato dalla divisione Avionica di Leonardo-Finmeccanica, e del quale è responsabile scientifico l’Inaf (ideato da Angioletta Coradini, deceduta tre anni fa), e lo strumento di radioscienza
KaT (“Ka-Band Translator”), costruito dalla da Thales Alenia Space Italia, del quale è responsabile scientifico Luciano Iess dell’Università La Sapienza di Roma. La sonda
Juno raccoglie l’eredità di una precedente missione italiana, battezzata
Galileo, che raggiunse Giove nel 1995 tuffandosi nella sua coltre gassosa: fu una missione in cooperazione tra Nasa ed Esa europea, che fornì molti risultati importanti dal punto di vista scientifico. Ma adesso
Juno farà di più: lanciata il 5 agosto 2011 da Cape Canaveral con un razzo vettore
Atlas 5, il domani accenderà per 35 minuti il suo motore principale per entrare nell’orbita del gigante gassoso: «In quel momento sarà pronta ad avvicinarsi a Giove come nessun altro veicolo spaziale ha mai fatto» ha osservato la responsabile del programma per la Nasa, Diane Brown. La sonda, alimentata da energia solare, ha raggiunto Giove dopo aver percorso 500 milioni di chilometri, che ha compreso un
fly-by – cioè un passaggio ravvicinato attorno alla Terra – nel 2013 che con una “fiondata gravitazionale” (una sorta di colpo di biliardo per farne incrementare la velocità) che l’ha portata, infine, all’inserimento in un’orbita polare attorno al gigante gassoso. La missione, che si concluderà dopo un anno, e dopo trentatré orbite attorno al pianeta, promette di essere avvincente. Sarà dedicata allo studio delle origini, della struttura, della magnetosfera e dell’atmosfera del gigante gassoso del nostro sistema solare. La sofisticata fotocamera a colori della sonda riprenderà immagini ravvicinate ad alta definizione delle nubi superficiali di Giove, inviando a terra per la prima volta anche i dettagli delle zone polari del pianeta. Le osservazioni raccolte, permetteranno anche di capire se le teorie finora tracciate sulla formazione di Giove sono corrette, e di dedurre la composizione, la temperatura e le dinamiche circolatorie delle nubi del pianeta. Altri strumenti consentiranno di comprendere meglio l’interazione dell’imponente campo magnetico di Giove con l’atmosfera, in particolare attraverso l’osservazione delle aurore boreali e australi. Sotto le nubi di Giove inoltre, c’è uno strato di idrogeno in condizioni di pressione incredibili, che potrebbe comportarsi come un conduttore elettrico. Se a questo si aggiunge il ritmo assai veloce con il quale ruota Giove, dove il giorno dura appena dieci ore, è possibile che i due elementi, combinati fra di loro, possano generare un campo elettrico nel quale elettroni, protoni e ioni si muovono attorno al pianeta quasi alla velocità della luce. Inoltre,
Juno si troverà nell’ambiente più ricco di radiazioni del sistema solare: «Sarà esposta a una quantità equivalente a quella di cento milioni di radiografie» ha detto Rick Nybakken, del Nasa Jpl. Poi, quando avrà esaurito il suo compito, il veicolo spaziale concluderà il suo volo con un “tuffo” dentro le nubi di Giove, proprio come accadde nel dicembre 1995 alla precedente missione della
Galileo. Entrambi gli strumenti realizzati dai centri di ricerca italiani, sfruttano importanti sinergie con gli analoghi strumenti in sviluppo per la missione
Bepi-Colombo, destinata all’esplorazione di Mercurio, ottimizzando i costi e incrementando il ruolo dell’Italia: «Giove da solo rappresenta i nove decimi della massa dei pianeti del nostro sistema solare, ha un capo magnetico dieci volte più intenso di quello terrestre e le aurore polari, simili alle aurore boreali terrestri, sono però permanenti su entrambi i poli – spiega Enrico Flamini, coordinatore scientifico dell’Asi – ed è un gigante essenzialmente composto di idrogeno ed elio che ruota a una velocità pazzesca che fa sì che il giorno gioviano sia di sole 9 ore e 55 minuti. Inoltre, scoprire la struttura interna servirà a capire l’origine del campo magnetico e a confermare la teoria che ci dice sia dovuto ad uno strato di idrogeno allo stato metallico che circonda un nucleo roccioso». «Rispondere a queste domande – aggiunge Enrico Flamini – è il compito della missione
Juno e in particolare dei due strumenti italiani forniti dall’Asi alla Nasa».