Il polistrumentista e cantante calabrese Davide Ambrogio
Dal lungo treno del Sud, un giorno a Roma alla Stazione Termini è sceso l’allora 23enne Davide Ambrogio, classe 1990. Un ragazzo di Calabria (di Cataforio), polistrumentista e cantante nato e cresciuto tra la gente in Aspromonte e già “cantata” dallo scrittore Corrado Alvaro. Ambrogio è una delle voci più interessanti del panorama di quel genere che, per non cadere nei classici piccoli equivoci, ci tiene a definire «musica di tradizione», evitando così l’erronea e perniciosa dicitura di “musica popolare”. «Oggi forse parlare di questo mio genere come di musica popolare è un po’ come mentire a noi stessi. Per il popolo sicuramente è diventata più “popolare” la musica rap o la trap, piuttosto che questa che si rifà esclusivamente alla tradizione orale della mia terra, l’Aspromonte. Il mio primo disco Evocazioni e Invocazionievoca e invoca appunto sentimenti ed emozioni che sgorgano dalla mia prima lingua, il calabrese di montagna, il grecanico che si sovrappone – sorride – alla “lingua straniera” che ho appreso a scuola, l’italiano». Calabrese come Linguamadre. Così si chiamava il progetto in collaborazione Elsa Martin e il Duo Bottasso che è diventato un disco-live Il canzoniere di Pasolini. Il Poeta di Casarsa e della poesia dialettale, l’idioma del mondo contadino che pone anche Ambrogio tra gli interlocutori più calzanti di “Coultura”, il tema dello “Sponz Fest” 2022 dove questa sera porterà la sua testimonianza musicale sul palco. E lo farà assieme al genius loci di Calitri e dell’Alta Irpinia, Vinicio Capossela.
Un lavoro difficile quello di “traduzione” della tradizione orale, specie per un artista trentenne.
Ho iniziato con un’altra musica, ma il contesto in cui sono vissuto poi mi ha fatto cambiare direzione in maniera del tutto naturale. Ho avvertito l’esigenza di stabilire un ponte tra il passato e il presente rimanendo fedele alla mia identità meridionale.
Siamo nel campo dell’antropologia musicale, che immagino punti alla riscoperta dei canti tradizionali.
Non proprio, le canzoni di Evocazioni e Invocazioni sono tutte elaborazioni mie, suoni e vocalità compresa. Non parto da canti preesistenti, anche se poi la composizione è fortemente intrisa dalla tradizione orale dell’Aspromonte. Sto molto attento ad essere fedele a quel timbro che Giovanna Marini chiama «estetica del canto contadino», e a questo ho semplicemente aggiunto, volutamente, dei tratti elettronici moderni che accompagnano un’armonia semplice, originaria.
Il tutto suonato con strumenti etnici, originari.
Nel disco ho registrato suonando strumenti di Cataforio. Dentro invece ci sono la zampogna e i tamburi dell’Aspromonte, ma anche strumenti “world” pakistani e chitarre americane. Non volevo creare della mappe territoriali, ma un cromatismo musicale che eludesse il senso del luogo, una musica e una voce che è come se arrivasse da un ambiente più che da una nazione. Poi certo l’Aspromonte è presente in tutto il disco.
L’effetto generale all’ascolto è quello di una musica da accompagnamento cinematografico.
Infatti nell’ultimo bellissimo film di Francesco Constabile Una femmina( presentato all’ultimo Festival di Berlino) ci sono due brani miei: A Sant’Andrea e L’accordo e questo viene cantata dall’attore Mario Russo, mentre ai titoli di coda si sente la mia voce. La mia, è una scrittura orizzontale, va molto sull’essenziale e si plasma bene sull’immagine.
Il premio “Contro le mafie” 2020, vinto con la canzone A San Michele vuol dire che la musica di tradizione orale ha anche il potere di promuovere una cultura antimalavitosa?
Purtroppo la realtà ci dice che le organizzazioni criminali si appropriano spesso di spazi lasciati per la strada dalla società civile. Vedi i riti, i santi, le feste patronali, arrivando poi a mettere le mani sull’economia. La tradizione è del popolo ma se l’abbandona, la malavita se la prende in un lampo. Anche la tarantella viene spesso associata alla ’ndrangheta ma la tradizione orale ci ricorda che mentre quel tipo di criminalità è nata 60-70 anni fa, la tarantella ha invece una storia millenaria. Chi fa musica di tradizione orale può contribuire a educare e a ricostruire fedelmente la storia per riconsegnarla al suo legittimo proprietario, il popolo.
Che punti di contatto ci sono con gli altri cantautori calabresi, come Rino Gaetano, Brunori Sas o Mannarino che si è ispirato allo scrittore di Sant’Agata del Bianco Saverio Strati?
Siamo dei cantanti e quindi la vicinanza esiste a prescindere dalle radici calabresi, Brunori e Mannarino poi sono certo che siano affascinati dalla musica di tradizione orale. L’unica cosa che mi differenzia da loro, compreso il grande Rino Gaetano, è la forma canzone che non ho ancora sperimentato. E poi io canto in dialetto che in questo momento è l’unica forma senza filtri che riconosco per raccontare al pubblico le mie verità.
Quali sono i punti di riferimento in questo suo percorso sicuramente originale oltre che originario?
Devo tanto a Giovanna Marini e alla sua Scuola di Testaccio che ho frequentato appena sono arrivato a Roma. Giovanna ha avuto il merito di essere stata la prima a ricontestualizzare la musica di tradizione orale. E su questa direzione si è mosso poi anche Capossela con Le canzoni della Cupa in cui ha rielaborato filologicamente i canti della tradizione e li ha vestiti con una sua verità rendendola una musica viva e non più da museo. Chiunque si muove su questo solco mi è assolutamente affine.
Ma quanta attenzione c’è in Italia per questo lavoro di “recupero” musicale?
In Francia ce n’è sicuramente di più, ma rassegne come lo “Sponz Fest” confermano che anche da noi le cose stanno cambiando e in meglio. Il mio obiettivo è comunque quello di portare la musica di tradizione orale a un pubblico che non la conosce. La speranza è che aumentino i giovani musicisti e cantanti che la vedano come un arricchimento culturale per comprendere l’importanza, in senso pasoliniano, della cultura contadina, come sapere subalterno alla società globalizzata che banalizza ogni forma di tradizione.
E da dove si dovrebbe cominciare per riconquistare la cultura contadina?
Dalla terra, perché anche se dicono che la civiltà contadina è scomparsa il suo sapere si può sempre ritrovare ristabilendo un nuovo rapporto con le radici. E poi, all’ascolto di certa musica, basta non porsi più la domanda se arriva dalla Calabria o da Cuba... La tradizione orale non conosce vincoli né confini.
Prossimi orizzonti creativi?
Lavoro a un secondo disco, che sarà “superpolitico”, a difesa ancora di ciò che resta del mondo contadino, contro gli scandali degli sfruttati della terra. E continuerò a farlo con il mio dialetto e con questa musica che è l’unica lingua universale che mi permette di riflettere su me stesso e di portare a riflettere anche chi mi ascolta.