Ci sono esseri umani che pensano e auspicano una cosa sola: se tutti professassero la religione cristiana il mondo sarebbe perfetto. La conversione ai loro occhi è un fine e non un inizio. Da questo punto di vista, essendo stato battezzato da adulto, sono io stesso chiamato in causa e all’occasione posso rendere la mia «testimonianza» sotto locandine sgargianti e dietro microfoni dai quali rimbombano varie definizioni: «L’ebreo convertito», «Da Nietzsche a Gesù», «Come da nichilista sono diventato cristiano» e così via. Quasi mi rammarico di non essere stato, oltre a ciò, anche un tossicodipendente, un omosessuale, o chissà, addirittura un assassino, o quanto meno un attore di film a luci rosse – con una gamba di legno! La mia conversione, infatti, non deve essere semplicemente un punto d’arrivo, ma occorre che sia anche a tal punto interessante da non indurre gli spettatori a supporre di aver sprecato inutilmente una bella serata che avrebbero potuto trascorrere al cinema. Per quale motivo dovrei rendere la mia testimonianza, se questa dovesse essere altrettanto ripetitiva dell’ostia bianca nel suo ostensorio? È indispensabile dunque che io catturi meglio possibile l’attenzione del mio pubblico e arricchisca il mio racconto di conseguenza, con dettagli e vicissitudini quanto più straordinari possibile. Ciò risulta utile al pubblico: a differenza di quegli intrattenimenti alla conclusione dei quali si esce con qualche perplessità, la nostra coscienza qui è a posto, è tranquilla, e la nostra amabile distrazione passa per edificazione morale… «Che ingrato!» mi si dirà. In realtà esagero giusto un po’. Vorrei si comprendesse se non altro quanto questo genere di esibizioni mi metta a disagio, ecco! Se si trattasse di esaltare l’oro e il miele nei quali un’infinita misericordia arriva a transustanziare la mia recalcitrante sozzura, passi, ancora ancora! Nella maggior parte dei casi però – ahimé – questo genere di incontri serve soltanto a farci sentire tutti al riparo, al calduccio, dalla parte dei buoni, tra le belle mura della nostra chiesetta. E se questi muri invece di essere quelli di un rifugio fossero quelli di un’arena? Se il fatto di essere diventato cristiano mi spedisse incontro al peggio? La mia situazione è migliorata, indubbiamente, ma ciò sta forse a significare che sono necessariamente migliore io stesso? La mia anima può essere diventata una sposa ricchissima, ma aver meno da offrire, in proporzione, dell’obolo della vedova. Aver vinto il jackpot non rivela nulla di per sé in merito all’uso che io posso fare di tutti quei soldi. Essere in una situazione migliore può assicurarmi di fatto maggior forza per strangolare mio fratello. «Non c’è inimicizia eccellente come quella cristiana. Il nostro zelo fa meraviglie, quando seconda la nostra inclinazione verso l’odio, la crudeltà, l’ambizione, l’avarizia, la diffamazione, la ribellione». In fin dei conti, Giuda non fu prima di ogni altra cosa uno degli apostoli, e addirittura colui che tra di loro aveva l’incarico di custodire, oltre alle chiavi, il denaro? Può anche darsi il caso, quindi, che io sia diventato più malvagio di quanto fossi prima, e che il Marchese de Sade, Comte-Sponville e altri promotori dell’anticristianesimo o della trascendenza laica non siano peccatori quanto me. La mia è una semplice constatazione: la conversione resta una prova fino alla morte. O meglio, volendo rovesciare i celebri versi di Hölderlin, potremmo dire: «Dove c’è ciò che salva cresce anche il pericolo». L’ateismo non è il peggior rifiuto possibile di Dio, quantunque neghi l’esistenza di Dio o la divinità di Gesù. Pascal considera l’ateismo – allorché esso è inquietudine e non compiacimento – una condizione che occorre commiserare. L’ateo che cerca non è soddisfatto del proprio ateismo. Presagisce che, qualora diventasse troppo di comodo, il suo ateismo si trasformerebbe esso stesso in un feticcio domestico. Il fatto è che non è poi così facile essere atei davvero. Si infrange un idolo – e sia! –, ma che almeno ciò non accada per fabbricarne immediatamente un altro: i soldi, la lussuria, l’arte, la scienza… E che non accada nemmeno per rendere sacro quel gesto di ribellione: esiste un integralismo della trasgressione e i suoi ministri sono tanto più violenti quanto più sono persuasi di essere i turiferari della liberà assoluta. No, l’ateo che cerca è al contempo l’autentico ateo e l’ateo che «volge al termine». Autentico perché non fa del proprio ateismo una divinità; e che «volge al termine» perché, di conseguenza, soffre per il fatto di essere ancora ateo e paventa quella chiusura che egli critica in coloro che credono. L’apologetica si sforza di mostrare la verità del cristianesimo, ma questa verità conosciuta non impedisce di essere peggiori. Apre la possibilità della conversione, ma anche quella di un sommo rifiuto: l’apologista può fare cose diaboliche e se si immagina di convertire egli stesso gli altri con i suoi pii discorsi o di occuparsi di un pentimento al termine di una dissertazione, si rende demonio egli stesso, nel momento preciso in cui si vanta di comunicare la fede. Si tratta di un’astuzia del diavolo: proprio quando lottiamo contro l’ateismo, ci fa inciampare nel teismo suo: una fede piena di individualismo, egologica, non più teologale. Infine, ciò serva da avvertimento agli entusiasti della «spiritualità». Si deve pensare forse che essa sia il rimedio e che l’umanità perisca per essere troppo attaccata alla materia? La spiritualità dei nostri tempi riempie gli scaffali, si raffronta, si compra, si vende su eBay. A dirla tutta, il vero problema è il seguente: Satana è molto spirituale. La sua natura è la stessa di un puro spirito. In lui non vi è neppure un’oncia di materia. Non vi è propensione per il materialismo. E quindi – ci si può scommettere – la spiritualità è il suo stratagemma.
Pubblichiamo qui un estratto dal libro di Fabrice Hadjadj «La fede dei demoni, ovvero il superamento dell’ateismo» (Marietti 1820), che sarà in libreria dal 30 agosto. Di origine ebraica, nato a Nanterre in Francia nel 1971, convertito al cattolicesimo, Hadjadj è filosofo, saggista e drammaturgo. Sarà lui a chiudere il Meeting di Rimini, sabato 28 agosto, presentando il libro di monsignor Luigi Giussani «L’io rinasce in un incontro».