Sulla linea di confine di Grimaldi, tra Ventimiglia e Mentone, una delegazione francese e una italiana si sono incontrate nei giorni scorsi per la simbolica celebrazione della Giornata della riconciliazione e della memoria. Oggetto di riflessione non la tragica follia della guerra del 1940, la nostra «pugnalata alla schiena» di una Francia ormai in ginocchio, ma il dramma delle vittime dell’eccidio di Aigues-Mortes, la cittadina del delta del Rodano teatro nel lontano 1893 di un vero e proprio pogrom ai danni di decine di lavoratori immigrati dal nostro Paese, dal Piemonte in particolare. Dei fatti di Aigues-Mortes non si parla mai. Costituiscono un evento-tabù la cui memoria storica sembra essersi perduta definitivamente, dissolta vuoi dal trascorrere del tempo, vuoi dal clima che il progredire dell’integrazione europea ha propiziato negli ultimi decenni, vuoi dalla riaffermazione di quei valori di vicinanza e solidarietà con i cugini d’Oltralpe che solo la dissennata avventura del fascismo aveva messo in ombra. Tuttavia ricordare è doveroso, non per imbastire processi che oggi non avrebbero senso, ma per rispetto ai caduti, per onorare il loro sacrificio di lavoratori emigrati, per trarre profitto dalle lezioni della storia, che se ignorate espongono al rischio di ripetere presto o tardi i medesimi errori e le stesse tragedie e atrocità. Furono tanti i caduti: una decina secondo i rapporti redatti all’epoca dalle autorità francesi, una cinquantina secondo i resoconti della stampa internazionale (in primo luogo il
Times di Londra), forse un centinaio stando alle valutazioni che circolavano in seno alla comunità italiana. Oltre un centinaio i feriti.Ma cosa accadde ad Aigues-Mortes nell’agosto di 117 anni fa? Facciamo un passo indietro e andiamo a quell’Italia di fine Ottocento quando eravamo noi gli «altri», gli emigranti (spesso senza documenti e pertanto irregolari, anche se la parola clandestino non apparteneva al vocabolario corrente), i poveri, i disprezzati in giro per il mondo in cerca di un pezzo di pane. Paria come tanti altri oggi. Bene, l’economia di quella località costiera del dipartimento del Gard, tra Nîmes e Montpellier poco ad ovest della Camargue, si reggeva sullo sfruttamento del sale marino. La Compagnia delle saline di Perrier e Peccais per far fronte alle richieste del mercato assunse in quel 1893 150 lavoratori francesi e 600 italiani. La sproporzione è facilmente spiegabile: allora come oggi l’immigrato costava meno, era meglio sfruttabile, non faceva storie. Solo che anche la comunità francese della zona aveva braccia in esuberanza che chiedevano lavoro, così in breve si innescò una autentica guerra tra poveri, con gli italiani oggetto – in quanto forestieri e per questo «diversi» – di ritorsioni, ripicche, discriminazioni, mentre a livello politico le relazioni tra Roma e Parigi si facevano gelide a causa dell’adesione dell’Italia alla Triplice Alleanza con Austria-Ungheria e Germania. Un giorno alcune centinaia di individui del posto, animati da pregiudizio anti-italiano, assaltarono i capannoni dove gli stranieri avevano precario alloggio. Reazioni e ripicche si susseguivano in un clima che si infuocava, tanto che i rapporti già tesi tra le due comunità finirono per compromettersi del tutto. Una scintilla da una parte o dall’altra poteva trasformare la guerra tra poveri in un incendio incontrollabile. Il fiammifero lo accesero gli scalmanati che il 15 agosto aggredirono un italiano che aveva osato lavare un fazzoletto con un poco della preziosissima acqua potabile di cui la città disponeva. L’uomo reagì, i francesi chiesero aiuto ai loro, gli italiani fecero lo stesso, intervenne la forza pubblica, gli scontri aumentarono di violenza e si generalizzarono. Gli immigrati ebbero la peggio e risultarono talmente malconci che fu per loro impossibile avere certezza del numero dei propri morti: corpi senza vita era stati probabilmente gettati in mare, o sepolti in fretta per farli sparire, o affondati nei canali di alimentazione delle saline. Un immigrato morto in più o in meno a chi poteva interessare? Inutile affannarsi per una contabilità meticolosa. Se disinvolta fu l’approssimazione dei francesi, vergognoso si rivelò il comportamento delle nostre autorità consolari, che al processo intentato ai responsabili dell’aggressione invece di chiedere giusta severità finirono di fatto per invocare clemenza. Le vittime – fecero capire – altro non erano che emigranti, plebei, poco di buono, gentaglia che aveva abbandonato il proprio Paese magari per ragioni inconfessabili. Sull’eccidio di Aigues-Mortes calò presto l’oblio. In anni recenti, nella nuova Europa che prendeva corpo, sia da una parte che dall’altra nullo era l’interesse a rivangare un passato tanto doloroso. Così è stato fino all’incontro di pochi giorni fa a Grimaldi, presente anche il sindaco di Aigues-Mortes Cedric Bonato, orgoglioso di essere figlio di italiani, emigranti di Bassano del Grappa che hanno trovato una nuova patria là dove altri prima di loro avevano incontrato pregiudizi, rancori, ostilità e perfino morte violenta. La giornata della riconciliazione e della memoria, hanno promesso gli organizzatori, non resterà evento episodico. Si progetta l’incontro del prossimo anno, non più sulla linea di confine ma in una sede di alto prestigio, il palazzo dell’Eliseo a Parigi.