lunedì 14 maggio 2012
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L'Africa assetata, dove trecento milioni di persone continuano a non aver accesso all’acqua potabile, è seduta su un’enorme riserva idrica sotterranea. E le zone più ricche di oro blu sono proprio quelle che, in superficie, sono le più aride del continente: Algeria, Libia, Egitto, Sudan e altre vaste aree della regione sahariana. Acqua sotto il deserto: la notizia arriva dagli scienziati della British Geological Survey di Edimburgo e dello University College di Londra, secondo cui il sottosuolo africano nasconde una "scorta" idrica cento volte superiore a quella ricavata annualmente dalle piogge. «Si tratta di una quantità sufficiente per garantire l’acqua da bere e quella per l’irrigazione comunitaria», afferma Alan MacDonald, coordinatore della ricerca, pubblicata sulla rivista “Environmental Research Letters”. Un lavoro che per la prima volta ha analizzato, su base continentale, le mappe idrogeologiche fornite dai governi nazionali e una serie di studi locali relativi a 283 bacini idrici. Con risultati sorprendenti: sebbene il team di MacDonald abbia calcolato un certo margine d’errore, l’acqua sotterranea totale sarebbe pari a 660 milioni di metri cubi in media (con una forchetta che va da 360 milioni a 1.750 milioni di metri cubi), cioè venti volte quella contenuta nei laghi africani. Un elemento di speranza importante, visto che nel Continente nero la domanda di risorse idriche, già massiccia, è destinata a crescere notevolmente nei prossimi due decenni a causa dell’aumento della popolazione e dell’esigenza di irrigare nuove terre (attualmente solo il 5% delle terre coltivabili è irrigato, con gravi perdite nei raccolti). Le forti tensioni legate alla scarsità di riserve con cui fare fronte alla siccità non sono certo una novità: basti pensare alle ricorrenti dispute tra i Paesi che sorgono sul bacino idrografico del Nilo e se ne contendono le acque. E non è difficile prevedere che, nel prossimo futuro, la penuria di oro blu sarà alla base di povertà, instabilità e persino guerre. Per questo la nuova mappa realizzata degli scienziati britannici è così preziosa. E potrebbe «aprire gli occhi della gente a nuovi potenziali», come spera Helen Bonsor della British Geological Survey. «I giacimenti maggiori di acqua sotterranea sono nelle grandi falde del Nord Africa, in cui lo strato è spesso fino a 75 metri: una quantità enorme», ha spiegato la Bonsor. Si tratta di piogge immagazzinate nel suolo fino a cinquemila anni fa, prima che i cambiamenti del clima trasformassero la regione in un deserto.
Ma proprio il fatto di essere di fronte ad acque "fossili", avvertono gli autori dello studio, pone alcuni limiti: da una parte la grande profondità dei giacimenti (tra i 100 e i 250 metri sotto terra) che rende difficile e costosa l’estrazione, dall’altra il tasso bassissimo o nullo di ricarica delle riserve, che richiede un approccio sostenibile allo sfruttamento. Come mostrano le mappe, tuttavia, la distribuzione e le caratteristiche dei giacimenti sotterranei non sono uniformi nel continente: oltre a quello sotto il Sahara – che Gheddafi aveva progettato di sfruttare con ciclopiche opere idriche, rimaste in sospeso dopo la sua caduta –, un altro grande bacino giace tra la Repubblica democratica del Congo e la Repubblica Centrafricana, mentre un terzo è più a sud, a cavallo di Namibia, Botswana, Angola e Zambia. In generale, i ricercatori affermano che «per molti Paesi africani, pozzi opportunamente collocati e costruiti in modo appropriato possono permettere il pompaggio manuale e garantire riserve sufficienti, sebbene con variazioni periodiche della ricarica delle riserve». Decisamente sconsigliata, invece, l’estrazione su larga scala, per esempio per far fronte alla domanda idrica delle città in rapida crescita, che rischierebbe di impoverire i bacini in modo irrimediabile. Una corsa all’acqua sotterranea, meno inquinata e meno dipendente dalla stagionalità e dai cambiamenti climatici superficiali, che punti alla commercializzazione industriale sarebbe quindi insostenibile e rischierebbe di dilapidare rapidamente questo inaspettato patrimonio. Senza contare che grandi perforazioni potrebbero avere effetti collaterali imprevisti. Le prospettive sono invece decisamente positive per quanto riguarda il consumo locale comunitario. Attualmente, il mancato accesso ad acqua pulita (oltre alla carenza di servizi igienici adeguati) rappresenta la causa principale di morte per i bambini dell’Africa subsahariana, perché è alla base di varie malattie tra cui le epidemie di diarrea, tuttora letali. Non è difficile comprendere, dunque, gli effetti potenzialmente rivoluzionari dei dati resi noti dagli scienziati inglesi. Anche se, come ha avvisato MacDonald, «la disponibilità di acqua in sé non è sufficiente a risolvere il problema della sete: è necessario che siano compiuti investimenti per scavare i pozzi e ancor prima che a livello regionale e locale si proceda a una mappatura più precisa dei giacimenti sotterranei». Ancora una volta, la volontà politica dei singoli Stati è chiamata in causa per non perdere questa ennesima, enorme opportunità.
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