sabato 9 novembre 2019
Si è spenta a 107 anni la moglie dello scrittore. Si erano sposati nel 1943. Per molto tempo negò la riedizione dei testi “maledetti” del marito. Nel 2017 sciolse la riserva: che cosa accadrà ora?
Lucette Almanzor durante un esercizio di danza

Lucette Almanzor durante un esercizio di danza

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La morte di Lucette Almanzor alla bella età di 107 anni, nella sua casa di Meudon, rimette in gioco il discorso sull’opera di Louis-Ferdinand Céline, del quale fu moglie dal 1943, ma con cui conviveva dal 1935. Perché la sua morte ci riconduce a Céline? Perché Lucette oltre a essere una ballerina dotata e la compagna dello scrittore, è stata anche la vestale che fino a ieri ne ha custodito la memoria, dopo la scomparsa nel 1961, impedendo che le opere “maledette” fossero ristampate e gettassero nuova riprovazione sul marito.

Céline in realtà è il campione dell’antisemitismo feroce, come Brasillach, anch’egli notevolissimo scrittore e critico, che sconta però la damnatio memoriae; tra i reprobi, e questo è meno ovvio, dovrebbe figurare anche Maurice Blanchot, oggi maestro della critica letteraria di sinistra, ma all’epoca fervente accusatore degli ebrei con numerosi articoli pubblicati sui quotidiani francesi, di cui Riccardo De Benedetti una dozzina d’anni fa curò un’antologia, che non esiste nemmeno in Francia (e si può capire perché). In realtà, la vedova di Céline nel 2017 aveva sciolto la riserva concedendo all’editore Antoine Gallimard, nipote del fondatore delle prestigiose edizioni che dopo Denoël divennero rappresentanti in libreria di Céline, di realizzare una edizione critica di quei testi “maledetti”. Doveva intitolarsi: Écrit polémiques. 1933-1957 con una prefazione di Pierre Assouline. C’è da dire che fin dal 2012 ne esiste una edizione canadese, facilmente acquistabile, che alla “trilogia antisemita” aggiunge il celebre Mea culpa del 1936 (sarcastica accusa al sovietismo) e Vive l’amnistie, Monsieur! del 1957. Ma l’edizione non vedrà la luce, perché le istituzioni francesi mettono in guardia l’editore contro i danni che quel libro farebbe nella lotta al razzismo e all’antisemitismo e Gallimard rinuncia.

In tempi in cui si è superato lo scoglio di ripubblicare il Mein Kampf, la cosa risente di una falsa concezione della libertà culturale (si deve ricordare che nel 2011, in occasione dei cinquant’anni dalla morte di Céline, il M inistero della cultura lo inserì nel protocollo previsto per gli anniversari dell’anno, ma poi lo depennò per le proteste delle associazioni ebraiche. All’epoca era ministro Frédéric Mitterrand, nipote del presidente, che cedette alle pressioni, anche perché alcuni suoi disinvolti comportamenti sessuali ne esponevano il fianco a critiche che avrebbero avuto ripercussioni sul governo).

Oggi ci si può chiedere, dopo la scomparsa di Lucette, come verranno gestiti i diritti d’autore di Céline. L’avvocato François Gibault, biografo di Céline e suo esecutore testamentario, sarà il vero mediatore fra l’opera dello scrittore e il pubblico. Potremo leggere mai una edizione critica delle sue opere “polemiche”? Bisognerà che prima o poi i critici, progressisti o meno, si mettano d’accordo sul giudizio letterario e artistico a proposito di Céline. Rischiò la condanna a morte, ma riuscì a schivarla e quando dalla Danimarca rientrò in Francia andò a vivere nella lontana periferia parigina, a Meudon, un po’ campagna un po’ quartieri popolari. In quella casa, dove anche Lucette si è spenta, visse i suoi ultimi anni fra gatti, cani e altri animali, e morì dopo aver messo il punto al manoscritto di Rigodon. Nel suo libro maledetto, Bagatelle per un massacro, Cesare Cases, ebreo, vide il vertice romanzesco del Novecento: dove le qualità letterarie di Céline si esprimevano alla massima potenza, mettendosi a servizio dell’odio: letterariamente elevato, eticamente riprovevole. Anche lo scrittore, pentendosi, poi lo definì un’opera «abominevolmente antisemita» (ma metà del libro è un j’accuse sul comunismo, e questo non lo si dice quasi mai).

Bagatelle per un massacro, La scuola dei cadaveri e La bella rogna formano il trittico col quale Céline si pone “dalla parte del torto” prendendo di mira ebrei, comunisti e capitalisti e vaticinando un’alleanza col “nemico” di sempre, la Germania. Si deve ricordare che negli anni Trenta s’impose un clima culturale nel quale si distinse una schiera trasversale di intellettuali francesi detti “non conformisti” che avevano come fumo negli occhi comunismo e capitalismo e attaccavano l’ordine mondiale che si stava costruendo attorno ai nascenti totalitarismi, alle massonerie e ai potentati economici. A questi intellettuali dedicò il suo primo saggio di studio il politologo francese Jean-Louis Loubet del Bayle. Céline porta a massima espressione stilistica quel furore e lo indirizza verso l’oggetto sbagliato. Ma bisognerebbe dire anche che quel clima avvelenava la Francia almeno dal caso Dreyfus.

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