Questo mare sincero che la lambisce e il vento di scirocco e il Levante che l’accarezzano sgretolano, però, e indeboliscano Terra Murata, il promontorio di Procida su cui sorge l’abbazia benedettina di San Michele. Il santo che fece fuggire a vele spiegate i saraceni di Khai ed-Din nulla può contro le ingiurie degli elementi, se non si corre subito ai ripari. La rocca che domina le case che si tingono con i gialli, i rosa e i bianchi nelle mille sfumature rubate alle conchiglie, è tenuta da forti barbacani che però sembrano poggiare sul nulla. La costa di tufo giallo che scende a picco e al tramonto si indora è stata smangiata dalle grotte naturali. San Michele trema, brandisce la spada e chiede aiuto. Un progetto del professor Luigi Guerriero per il consolidamento dell’insula fu ritenuto anni fa troppo invasivo dalla Sovrintendenza e, quindi, archiviato. I fondi necessari per i lavori, oltre 4 milioni di euro, sono stati impiegati in altro modo.A parte le abitazioni private, Terra Murata con l’abbazia, il vecchio carcere borbonico e quello nuovo, e il conservatorio delle orfane, appartengono al demanio, da quando le leggi Siccardi furono estese al nuovo Regno d’Italia. È dunque lo stato italiano, a partire dalle amministrazioni locali, a dover far fronte a questo pericolo. Tentativi sono stati fatti, ma i problemi della staticità della rocca non sono stati risolti definitivamente. Il ministero dei Beni culturali incaricò l’ingegner Carlo Vigiano di monitorare Terra Murata. Non emersero pericoli imminenti, ma si avvertì la necessità di contenere i fenomeni naturali, come appunto le erosione provocate dal mare a dal vento. Si era nel 2000, siamo ancora allo stesso punto.Era un tempo questa l’unica parrocchia dell’isola che è di fronte a Pozzuoli, oggi le parrocchie sono otto. È parroco don Michele Del Prete, procidano, che vede addolorato la rocca sgretolarsi, e dice che prima di morire farà di tutto per salvare San Michele. Ha intanto promosso una sottoscrizione, aiutato da un gruppo di laici, per far fronte almeno alle cose più urgenti. I procidani sono stati sollecitati da una lettera ed è stato possibile raccogliere circa 25mila euro. Lavori qui e lì e sono state restaurate alcune tele del Seicento, ma non è «pittando la faccia agli angeli - dice il sacerdote - che si risolvono i problemi». È stata una sottoscrizione anche simbolica: «Ho voluto rendere i coscienti i procidani - aggiunge - per far capire che San Michele non è soltanto la chiesa di prestigio in cui sposarsi. È una chiesa che può chiudere, se non è soccorsa, e questa necessità, per il bene culturale che rappresenta, dovrebbe essere sentita anche da chi non crede». Don Michele si è circondato di esperti di buona volontà, come l’ingegnere Giuseppe Rosato e l’architetto Luigi Calabrese. Ricordano che è stato intrapreso nel 1995 uno studio per la salvaguardia di tutte coste di Procida e per proteggere gli arenili, perché l’isola è meta estiva balneare. «Ma - dice Calabrese - Procida è anche meta di turismo culturale, e l’abbazia dovrebbe avere pari se non maggiore dignità delle spiagge». Gli esperti volontari di San Michele ritengono necessari interventi d’ingegneria naturalistica che prevedono, tra l’altro, il rimboschimento della macchia mediterranea che come un manto protegga le falesie che si ergono imponenti dal mare. Tra gli esperti (vanno ricordati anche Angelo Costagliola, Michele Aurelio e Tonino Lubrano, oltre ai volontari dell’associazione Millennium che curano le visite guidate) c’è il medico Giacomo Retaggio, autore di romanzi ambientati a Procida che pianse per prima i martiri della Repubblica Napoletana del 1799. «Tutto questo - dice Retaggio - richiede molti soldi, facciamo in modo che non vadano in fumo o lontano da Procida, com’è avvenuto quando fu bocciato il progetto Guerriero».Quando chiediamo del sindaco, Vincenzo Capezzuto, troviamo in municipio anche la responsabile di questa zona della sovrintendenza di Napoli, Paola Bovier, per alcuni sopralluoghi nell’isola. Il primo cittadino con una delibera di alcune settimane fa ha dato incarico all’ufficio tecnico di individuare attraverso un bando esperti che possano offrire una soluzione per Terra Murata. «San Michele - dice - è per me una priorità assoluta, ma occorre toccare la sensibilità di enti sovra comunali, perché l’abbazia non è un bene procidano, ma una ricchezza di tutti». Insomma c’è chi potrebbe fare di più: la regione, lo Stato, sperando anche in fondi comunitari. «Per adesso - aggiunge la sovrintendente Bovier - stiamo facendo fronte a lavori urgenti per rendere vivibile la struttura». Promette anche che interesserà l’ateneo di Napoli per un nuovo studio. I procidani, gente di mare, pratici e decisi, non hanno mai messo in dubbio le buone intenzioni, ma tutti ricordano anche come andò a finire con Sagunto, mentre Roma discuteva… Si spera però che questa sia la volta buona.Sarà perché domina Procida, sarà perché i procidani per secoli qui sono stati battezzati e qui hanno ricevuto il viatico per l’ultimo viaggio, San Michele è il cuore dell’isola. «È la nostra storia, e dunque siamo noi - dice l’anziano don Michele Ambrosino che mostra un suo libro,
Non cancellate le orme - I procidani hanno lasciato le loro orme nel mare che hanno solcato e in questa chiesa dove hanno pregato. Come si può pensare di chiuderla e cancellare tutto?». Il mare che lambisce la rocca e il vento che l’accarezza ferendola non possono rispondere. La risposta è degli uomini.