Prosegue in Francia il dibattito sull’eutanasia. Da un lato tiene banco la vicenda Vincent Lambert, l’infermiere trentanovenne da 6 anni in stato di minima coscienza, al centro di una dura contesa giudiziaria tra la moglie, favorevole all’eutanasia, e i genitori che invocano il suo diritto a vivere. Dopo l’autorizzazione alla sospensione delle cure da parte del Consiglio di Stato francese, è stata la Corte europea dei diritti dell’uomo a intervenire per sospendere la sentenza, in attesa di poter esaminare approfonditamente il caso.
Intanto, il Procuratore generale di Pau ha presentato appello contro l’assoluzione del dottor Nicolas Bonnemaison, che si è reso responsabile della morte di sette pazienti tra il 2010 e il 2011 e che era stato giudicato non colpevole dalla Corte d’Assise con la motivazione che «non è dimostrato che l’esecuzione di queste iniezioni avesse intenzione di uccidere i pazienti».
In un’intervista a "Famille Chrétienne", Jean-Marie Le Méné, presidente della Fondazione Jérôme Lejeune, ha paragonato le due vicende: «Non è accettabile che la stessa società che condanna un malato sia pronta ad assolvere un medico che fa morire i suoi pazienti».
Le Méné, inoltre, ricorda che la decisione del Consiglio di Stato su Lambert segue la legge Leonetti del 2005, dove alimentazione e idratazione non sono più considerate sostegni vitali, sempre dovuti, ma terapie che possono essere sospese: «La Fondazione Lejeune è stata tra le poche voci a dire che questa norma permetteva l’eutanasia». Anche i vescovi francesi sono intervenuti a favore di Lambert: «Non è forse un atto elementare di civiltà da sempre offrire un bicchiere d’acqua?».