venerdì 21 dicembre 2012
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​All’improvviso Bersani decide che è il momento di sfidare Monti. Al Segretario bastano dodici parole per dichiarare guerra al Professore: «Non credo faccia bene all’Italia fare formazioni politiche attorno alle persone». È un affondo duro. Deciso. Il capo dei Democratici non usa l’immagine scelta da D’Alema. Non bolla come «moralmente inaccettabile» l’idea di una candidatura di Monti. Ma la sostanza dell’atto d’accusa scandito davanti alle telecamere di Sky è la stessa. Se Monti deciderà di costruire attorno a sé l’area moderata e di guidarla «non abbiamo difficoltà. L’unica cosa di principio che vorrei porre a Monti è che io credo che non faccia bene all’Italia fare formazioni politiche attorno alle persone. In nessun Paese del mondo le cose funzionano così».Quelle parole rimbalzano a Palazzo Chigi. Lo staff del Professore legge le agenzie di stampa che riassumono l’affondo del numero uno del Pd e avverte il capo. Monti ascolta silenzioso, poi davanti ai suoi commenta amaro: «Io e Pierluigi abbiamo due idee diverse di Paese, e anche due idee diverse di che cosa serva per il bene del Paese. Io penso che l’Italia vada sbloccata con riforme coraggiose che rompano con vecchi schemi, vecchi corporativismi e vecchie protezioni...». Prende fiato il premier, poi in nuove telefonate con i collaboratori di cui si fida completa quel ragionamento: «... Certo su alcuni punti abbiamo una visione comune, ma dubito che la sinistra abbia la forza di andare fino in fondo nel cambiamento». Chi è dall’altra parte della cornetta non ha bisogno di fare domande. Capisce le parole di Monti. Capisce il senso di un ragionamento: il Professore e il Segretario sanno di essere alla guida di due aree alternative e sono pronti a duellare.Ora dopo ora la sfida sale di intensità. Bersani ricorda a Monti «tredici mesi dio lealtà del Pd verso il governo». Poi, quando è buio è Stefano Fassina ad attaccare il premier. «Sono dispiaciuto che il premier abbia preso parte a un evento costruito sulla divisione invece che sulla coesione dei lavoratori», ripete il responsabile economico del Pd parlando della visita allo stabilimento Fiat di Melfi. E rilancia: «Almeno fino a oggi Monti è il presidente di tutti. Non dovrebbe tacere di fronte alla limitazione della democrazia nelle aziende del gruppo Fiat-Chrysler». Monti non replica, si sofferma solo a riflettere sull’attacco di Bersani che gli regala un nuovo avvertimento: «Sono curioso di sapere quale sarà la conclusione delle riflessioni del presidente Monti... Nell’attesa posso dire che francamente non avremmo mai immaginato che il premier entrasse nella contesa elettorale». Bersani è duro anche quando si affanna a dare l’impressione di non esserlo: «Ho sempre detto che voglio costruire un centrosinistra di governo che sia disponibile a incontrare, discutere, concordare un’azione comune con un centro moderato, antipopulista, europeista. E che io abbia o non abbia la maggioranza in ogni caso tengo ferma questa proposta». L’unico dubbio è che Vendola e la sinistra di Sel possano, numeri alla mano, condizionare il Pd e un segnale arriva dall’ultima domanda. La riforma Fornero? «Noi l’abbiamo approvata, ma il tema della precarietà non è stato affrontato abbastanza. Ripartiamo da lì», avverte Bersani che chiosa: possiamo fare meglio del Prof perchè il suo «rigore e competenza sono un punto di non ritorno ma dobbiamo cercare di mettere un pò di equità è di lavoro. Dobbiamo farlo perchè il tema sociale è prioritario e fin qui è stato affrontato in modo insufficiente».
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