Non rinunciare mai alla speranza. E sorridere alla vita. Sono questi i due principi che illuminano l’esistenza di Adolfo Pérez Esquivel. «Perché non importa quanti anni ci toccano su questa terra. L’importante è come viviamo, che cosa facciamo, verso dove andiamo. Altrimenti niente ha senso». A 82 anni, l’intellettuale e storico attivista per la non violenza argentino – impegno per cui ha ricevuto il Nobel nel 1980 – non esita a lanciarsi in una nuova, pacifica battaglia contro l’escalation militare in Siria. In una lettera aperta, scritta al presidente Barack Obama, Pérez Esquivel lo ha invitato a «disarmare le coscienze», accogliendo il grido dei popoli «che vogliono trasformare le armi in aratri». Per questa ragione, l’Angelus di domenica lo ha riempito di entusiasmo. E ora, il Nobel vuole unirsi «con determinazione all’appello di papa Francesco: mai più guerre! Io ci credo, è possibile». Solo chi non conosce la sua biografia , può trovare un simile slancio “ingenuo” o utopista. Il fondatore del Servizio Paz y Justicia di Buenos Aires ha sperimentato sulla propria pelle il pugno di ferro di «quei potenti, abituati a governare con la forza». Per 14 mesi è rimasto rinchiuso in una delle tante prigioni clandestine allestite dalla giunta militare che, tra il 1976 e il 1983, diresse l’Argentina. Là ha subito torture e umiliazioni e solo la mobilitazione internazionale ha impedito che venisse caricato su uno dei “voli della morte” e gettato, ancora vivo, nel Rio de la Plata. «Ma là ho imparato anche che Dio non uccide».
Questo è il titolo del libro-biografia scritto da Arturo Zilli. Che cosa significa?Nell’oscurità della mia cella, ho trovato sul muro questa frase, scritta da un precedente detenuto con il suo sangue: “Dio non uccide”. Non ho mai potuto dimenticarla. Vuol dire che quando si distrugge una vita è come se si uccidesse anche Dio, che della vita è autore. Dio è il Dio della vita: vuole vita per le sue creature. Per questo l’esistenza di ogni essere umano ci riguarda. E per questo mi batto contro la guerra, che è morte elevata a sistema.
Così ha deciso di unirsi all’appello del Papa e di aderire alla giornata mondiale di digiuno e preghiera convocata per sabato.Francesco ha fatto un gesto forte ed importante. È un monito di straordinario impatto per le coscienze. Non solo i cattolici ma anche i cristiani di diverse confessioni, gli appartenenti ad altre religioni, i non credenti, tutti dobbiamo unirci al suo appello. E mobilitarci insieme per chiedere una soluzione negoziale al conflitto siriano. Per questo, stiamo organizzando un momento di riflessione per sabato, aperto a chiunque si riconosca parte della famiglia umana e come tale voglia contribuire alla pace. Ribadisco: ogni vita umana ci riguarda.
Perché la sorte dei siriani riguarda gli argentini come gli italiani come qualunque uomo?Glielo spiegherò con una metafora. Una goccia d’acqua contiene l’intero fiume. Sì proprio così: quel frammento minuscolo, che si perde nel grande flusso, ha in sé l’essenza del fiume. Ogni uomo racchiude in sé un barlume di Dio, di cui è immagine. Dunque è nostro fratello. Non si può amare Dio in astratto: lo si ama nel prossimo. In questo senso, credo che la funzione dei leader religiosi sia quello di stimolare uomini e popoli al dialogo. E Francesco lo sta facendo in modo mirabile.
Lei lo ha incontrato due volte dalla sua elezione. Che impressione le ha fatto?È un autentico pastore. Che ha assunto in prima persona l’impegno per i poveri, i sofferenti, gli esclusi. E questo traspare da ogni sua parola o gesto.
Quale soluzione vede per la crisi siriana?Politica e non militare, come ho scritto nella lettera a Obama. La comunità internazionale deve dare pieno sostegno alle organizzazioni sociali che cercano la pace. Il popolo siriano, come qualunque altro, ha diritto alla sua autodeterminazione e a scegliere la propria strada verso la democrazia. Il mondo ha il dovere di aiutarli.
In che modo?Avviando un negoziato. Non c’è altra strada. Sono stato in Iraq durante la seconda guerra del Golfo, poco dopo i raid e prima dell’invasione di terra. Ho visto un rifugio distrutto dai missili: c’erano accumulati centinaia di corpi di donne e bambini. Quante altre volte si devono ripetere simili orrori?
Lei è un pacifista convinto, appassionato del pensiero di Gandhi e di Martin Luter King. Il mondo, però, continua ad essere un susseguirsi di conflitti. Che senso ha lottare ancora per la pace?Non possiamo permetterci di abbandonare la speranza. Attenzione, però: non parlo di una fantasia priva di sostanza. Parlo di un impegno concreto. Che, tra mille difficoltà, può regalarci traguardi inattesi. È stata la grande mobilitazione civile a fermare la guerra in Vietnam. E la società argentina ha sconfitto la dittatura. Se lo ricordi: mai perdere la speranza. E mi raccomando, sorrida alla vita.