lunedì 21 novembre 2011
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Chi ha ascoltato Mario Monti in questa prima settimana di navigazione nel mondo della politica, è rimasto sorpreso soprattutto dall’uso di una parola, finita purtroppo in questi anni nel dimenticatoio: equità. È necessario «riprendere il pallino della crescita in un quadro di attenzione all’equità sociale» ha detto il nuovo presidente del Consiglio, aggiungendo che «lo dobbiamo ai nostri figli. Dobbiamo dare loro un futuro concreto di dignità e speranza». Era la sua prima uscita pubblica, esattamente sette giorni fa, pochi minuti dopo aver ricevuto l’incarico a premier dal Quirinale. Venerdì alla Camera, ha concluso il suo tour de force per la fiducia annunciando che «chiederemo di più a chi ha dato di meno». Non sarà facile da domani, giorno in cui il Consiglio dei ministri avvierà lo studio dei primi urgenti provvedimenti, tradurre in atti concreti il proposito di maggiore equità, ma quel che è certo è che oggi la fotografia del Paese racconta di disuguaglianze crescenti. Su tre livelli: la distribuzione della ricchezza, il rapporto tra le generazioni e gli equilibri tra Nord e Sud.
Chi ha troppo e chi noSecondo i dati di Bankitalia, il 10% delle famiglie italiane controlla da solo il 45% della ricchezza, mentre la metà delle famiglie ne detiene il 10%. «Molte famiglie detengono livelli modesti o nulli di ricchezza mentre all’opposto poche dispongono di una ricchezza elevata» ha spiegato Via Nazionale in un rapporto ad hoc. Molte risorse nelle mani di pochi, insomma, in un Paese che negli anni Sessanta aveva fatto del boom economico un fattore di democrazia: lavora, produci, risparmia e il benessere sarà alla tua portata. Ora invece alla metafora della ricchezza si è sostituita quella della povertà: complessivamente, la povertà assoluta coinvolge il 5,2% degli italiani, come ha osservato recentemente il rapporto Caritas-Fondazione Zancan, con punte di indigenza assoluta pari al 7,7% della popolazione nel Mezzogiorno. Perché lo squilibrio economico che colpisce le relazioni familiari è anche il frutto di uno squilibrio territoriale: in Lombardia il Pil pro-capite ammonta a 32.222 euro contro i 16.372 della Campania, nel Sud è andato perso il 60% dei posti di lavoro, nonostante sia presente meno del 30% degli occupati. È evidente che la mancanza di equità si lega anche alla crescita anemica, ma questa logica non è sufficiente per capire perché chi è nato nelle regioni meridionali debba avere minori opportunità di chi è nato al Nord.
Un grosso debito sulle spalleResta poi il grande nodo irrisolto della questione generazionale: l’Italia è sempre più un Paese per vecchi e tutti concordano nel ritenere che, per la prima volta dal Dopoguerra, la generazione dei 20-30enni avrà meno della generazione che l’ha preceduta. Anche in questo caso i numeri sono illuminanti: secondo l’Archivio storico di Bankitalia, la generazione tra i 60 e i 70 anni possiede circa il 25% dell’intero patrimonio immobiliare del paese, contro l’8% nelle mani dei nati tra il 1965 e il 1975 e il 4% degli over 70. Per quanto riguarda i risparmi, le disuguaglianze sono ancora più marcate: i 60-70enni detengono oltre il 30% del totale, le altre due categorie rispettivamente il 6 e il 7%. Come spiegato in uno studio di Barbara Biasi, Michele Pellizzari e Rachele Poggi pubblicato su lavoce.info, «i figli non hanno beneficiato, se non indirettamente attraverso trasferimenti intrafamiliari, del debito pubblico accumulato nel corso della vita lavorativa dai padri. Ciononostante, saranno principalmente i figli a pagare il debito». Con un’aggravante rispetto al passato. «Gli eventi degli ultimi mesi hanno messo in chiaro che non ci sarà concesso di continuare a indebitarci alle stesse condizioni del passato».
Le riforme possibiliIl futuro prossimo fino all’altroieri sembrava già scritto: i figli pagheranno il debito dei padri attraverso le tasse che, per motivi demografici, i padri non pagheranno più. I tagli agli enti locali diventeranno tagli ai servizi, l’iniquità crescerà e la madre di tutte le riforme diventerà la riforma previdenziale. Sarà quello probabilmente il banco di prova per il nuovo governo, l’occasione per cambiare le carte in tavola e provare a invertire la rotta altrimenti inevitabile del declino. Secondo le indiscrezioni, proprio in nome del principio di equità, si punterebbe sull’adozione a tutto campo del metodo contributivo, nella forma pro rata, e sulla riduzione dei privilegi che si annidano nel sistema pensionistico. È possibile anche una revisione della riforma fiscale, l’introduzione di una patrimoniale (ma le modalità dell’intervento vanno tutte precisate) e un prelievo sui capitali scudati, oltre a una lotta senza quartiere all’evasione fiscale. L’unica certezza è che bisognerà andare «di corsa», come ha detto Monti: per i mercati e per chi è senza tutele.
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