La crisi sarà l’occasione per gettare la maschera? In queste ore, il potere celebra i suoi riti con il lancio di volti diversi per i posti che contano. E tutti gli italiani (non solo quelli che erano e quelli che saranno al governo) sono costretti in questa crisi a guardarsi in faccia. E quando ci si guarda in faccia lo si fa per un motivo: non barare su quello che si vuole veramente. E dirsi senza barare se si hanno le capacità e le possibilità per farcela. Ci possono essere anche nella crisi tanti che mettono su la maschera. Tanti che recitano lo stesso. E cambiano maschera. Ne assumono una che può sembrare più adeguata ai tempi. Che però permetta di continuare a non fare i conti né con se stessi, né con la realtà. Ma quando la crisi morde, e la realtà presenta in modo brusco i propri conti, le recite, le mascherature, le messinscena si vedono con più fastidio, risultano per così dire insopportabili. La crisi rende più sensibili al vero. Non necessariamente più disponibili e attenti. Il vero (quello che fa vedere i conti più bassi, i risparmi più magri, le aspirazioni che sembrano frustate) può diventare un’occasione di maggiore consapevolezza. O di rabbiosa stizza. Ma anche la facile indignazione, anche il lamento possono diventare una maschera facile da tenere sul volto. L’Italia è una patria del teatro, e le maschere fanno parte della nostra storia migliore. Ma nel nostro Paese abbiamo tenuto su la maschera fuori dal teatro per troppo tempo. Per non vedere che la realtà ci chiedeva un supplemento di impegno, di inventiva. E di sacrificio.Abbiamo tenuto su le maschere che ci facevano comodo. Anche la maschera dell’antipolitica, sempre pronta a essere indossata per addossare la colpa di tutto a qualcuno. E ora che pare uscito dal posto centrale che occupava sulla scena politica il quasi ex premier Berlusconi, da molti accusato d’essere la grande maschera, si vedrà se davvero cadranno le maschere tenute su da parecchi esponenti del mondo politico, culturale e sociale. Ognuno intento a recitare la propria parte senza troppa attenzione al dramma che si stava svolgendo e dunque dando vita a una scena sgraziata e confusa. La grande crisi della quale la crisi italiana è una parte ha origini culturali e morali, come hanno richiamato in tanti, da ogni parte, e primo fra tutti il Papa. La crisi economico-finanziaria ne è una conseguenza. E dunque chi ha risorse culturali e energie interiori deve rifiutare la maschera. I cattolici di questo Paese non hanno usato la maschera in questi anni. Sono stati in prima linea contro le conseguenze più mordaci della crisi sui più poveri e nell’investimento sui giovani, impegnati in luoghi in cui le maschere non tengono. E ora mentre in tanti provano qualche brivido e qualche pudore a calarsi la maschera, i cattolici che da tempo hanno cercato il bene comune, hanno la responsabilità di stare con la propria identità in questo passaggio duro. Portando il proprio contributo originale. Che non è una ricetta politica, una quadrature del cerchio di alleanze o una magia economica. Il contributo dei cristiani, che come tutti cercano vie e risorse, si chiama innanzitutto speranza. Ovvero il riflesso sul volto, la lena, la tenacia che vengono dall’avere il cuore attaccato al Dio che ha amato gli uomini senza limiti e con la pazienza del servo. La capacità di non mascherare i problemi affrontandoli con una infinita positività, infatti, non è una forza che viene dalla politica o dalla saggezza economica. Ma da quel che con lingua antica e ora attualissima si chiama virtù. I cristiani sanno bene che la virtù è uno strano composto tra ciò che si supplica umilmente a Dio e quel che ognuno può esprimere concentrando sul meglio di sé. Ed è questo che i cristiani offrono senza maschere nel dramma comune.
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